Verba manent: aprire le chiese o aprire i cuori?

L’imminenza della Santa Pasqua ci impone svariate riflessioni, più acute e profonde giacché in tempi di reclusione forzata e non voluta. La fede è uno strumento o un fine? Perché se è uno strumento, dunque mal vengano gli stimoli di solidarietà, gli inviti alla pace e alla fraternità propriamente pasquali e doverosi in tempi di crisi economica e fisiologica.

Se è, davvero, uno instrumentum regni utile solo a carpire consensi perché la retorica su cui si basa colpisce nella profondità del folclore degli italiani, allora non c’è virus che possa uccidere più dell’ignoranza mista alla spregiudicatezza di chi è arrogante e si nasconde dietro a un volto truccato di modestia.

Qualora, invece, fosse un fine, il messaggio di chi si dice cristiano sarebbe più palese: vivere nel rispetto degli altri e, soprattutto, testimoniare la fede con carità e riservatezza ben distribuiti in un’unica miscela. Don Vincenzo Berardelli, il sacerdote che è deceduto per aver dato il suo respiratore a un paziente più giovane per salvargli la vita, è un esempio della fede come scopo dell’esistenza. Un testimone estremo, senza dubbio, in un mondo di egoismi. Eppure coerente.

Non abbiamo mai convenuto con la propaganda, in particolare se manifesta in forme piuttosto pietose. Tra l’altro, l’etimologia di “propaganda” è latina e significa propagare, diffondere. Cosa vogliamo diffondere, in tempi tanto bui? Non esiste una risposta assoluta. La scelta è rimessa a noi, o meglio, a chi decide per noi.

E così, tra aprire le chiese o aprire i cuori ai messaggi della Chiesa, noi non abbiamo dubbi. E non dovrebbe averne neppure chi, in televisione, alterna l’abito talare a un completo giacca e cravatta, alquanto malconcio.

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