Verba manent: fetore d’incenso

L’addio di Luigi Di Maio, capostipite del M5S quando ancora era un movimento dai toni radicali, ha fatto cambiare idea a molti avversari dell’ex leader grillino, che fino a l’altro ieri gli gridavano immeritatamente e con sgarbo “bibitaro”, mentre oggi lo esaltano come un novello democristiano. Eh no, cari trasformisti dell’opinione; laddove Di Maio ha dimostrato piena incoerenza nel cambiare idea su tutto, non potete anche voi fare lo stesso. Per un motivo semplice: il fetore d’incenso è troppo forte, troppo intenso. 

In molti stanno incensando Luigi Di Maio, paragonato a un esemplare politico che segue la cresta dell’onda ma con formalità. Attenzione, poiché quel politico vestito d’un abito d’ottima fattura, con cravatta ben annodata e fazzoletto al taschino, che due giorni or sono ha dissertato di atlantismo in un hotel del centro, è lo stesso di qualche anno fa. Soltanto, per sua fortuna, ormai svezzato. 

È colui che propose un referendum per uscire dall’euro, mentre ieri, nel suo discorso, professava europeismo senza “se” e senza “ma”. È quello che chiese la messa in stato d’accusa del presidente Mattarella, dal quale l’altro ieri si è istituzionalmente recato per informarlo sulla sua decisione. Non è diverso da colui che gridò, dai balconi del palazzo, di “aver abolito la povertà” ed è il medesimo che diceva “parlateci di Bibbiano”. E, infine, è proprio lui quello che senza fondata ragione incontrava i gilet gialli che mettevano a ferro e fuoco le città francesi. 

Insomma, se è vero che solo gli stupidi non cambiano idea, sarebbe altrettanto da stupidi dimenticare il passato. Un vizietto che in politica è diventato prassi, tuttavia, almeno stavolta, ricordiamoci chi è stato Luigi Di Maio. Possiamo già immaginare chi sarà, giacché nel panorama politico si aggirano tanti “Di Maio” con qualche anno in più. Occorre, invece e soprattutto, ricordare chi è stato. 

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