Verba manent: Natomania

La necessità di protezione da parte dei Paesi più a rischio, anche solo geograficamente, a causa del conflitto russo-ucraino, sta sfociando in una Natomania. L’evoluzione della mitomania, con la differenza che in questo caso si cerca la solidarietà e non si esaltano le proprie qualità. 

Svezia e Finlandia decidono di fare richiesta per entrare nella NATO, quell’organizzazione internazionale formatasi con l’esigenza di tutelare i Paesi membri da minacce militari straniere. Un fronte comune che oggi è diventato la panacea di tutti i mali, mentre in passato, anzi, fino a due mesi fa, se ne discuteva perfino l’utilità effettiva. 

La volontà smodata di adesione va analizzata su due fronti: da un lato, è legittima l’esigenza di Stati confinanti con la Grande Russia, oggi vista come una minaccia all’occidente; dall’altro, si può discutere delle conseguenze che questa richiesta, se accolta, potrebbe generare. Stiamo cercando la pace o vogliamo vincere la guerra? Le due missioni non coincidono stavolta. 

È finito il tempo della monoguerra, cioè il conflitto portato solo su base militare, nel quale per avere la pace o si otteneva una resa o si vinceva sul nemico. Oggi la guerra è fluida, si conduce su più piani simultaneamente e per avere la pace non serve per forza il raggiungimento di una delle due conclusioni di cui sopra. 

L’ingresso nella NATO potrebbe suonare come una minaccia, che gli ucraini, tanto difesi da un occidente magnanimo, pagherebbero sulla propria pelle. 

Ciò non significa negare a prescindere, comportarsi come degli Erdogan d’occidente. Ma riflettere, quello sì, su una scelta più decisiva di quanto appaia. 

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