Verba manent: Soumahoro è il peggiore spot per l’accoglienza

Il detto popolare, così plebeo che accostato alla figura del nuovo Nelson Mandela un po’ stona, recita “tra moglie e marito non metter dito”, ed è rivolto per lo più alle suocere. Stavolta, però, proprio la suocera, insieme alla moglie, hanno messo nei guai il marito, che si chiama Aboubakar Soumahoro. 

Lo scandalo delle cooperative che avrebbero dovuto occuparsi dell’accoglienza dei migranti, finito ai disonori delle cronache già tempo fa, ha avuto un’evoluzione dannosa per il deputato: la moglie, Liliane Murekatete, e la suocera, Maria Therede Mukamatsindo, sono state poste agli arresti domiciliari, disposti dal gip di Latina insieme alla Guardia di Finanza. Nell’indagine sono stati sequestrati quasi 2 milioni di euro, soldi destinati all’accoglienza e invece utilizzati per spese come alberghi, ristoranti, abbigliamento costoso e gioielli. Tutto ciò mentre le strutture che ospitavano i migranti sono state ritenute fatiscenti, con arredamento inadeguato, carenti di condizioni igieniche e senza riscaldamento. È bene precisare che, direttamente, Soumahoro non ha responsabilità, tuttavia la domanda fatidica “siamo certi che non sapesse?” rimane nell’analisi della vicenda, perché sembra strano che le opere frutto di una così ingente quantità di denaro destinata alla cooperativa “Karibu” non fossero visibili agli occhi del deputato, sempre tanto attento alle vicissitudini dei più deboli.

Crolla un castello di carta, dai buoni propositi ma dalle false realtà, uno dei tanti che oggigiorno prova a sfondare nella politica grazie alla costruzione di un personaggio perfettamente disegnato. Da un punto di vista puramente comunicativo, Soumahoro ha tutto per essere un paladino della sinistra perbenista: le sue origini, che testimoniano una vita difficile; gli stivali in parlamento, che fanno capire la sua attenzione per i lavoratori sfruttati (sic!); la semplicità del linguaggio e dell’estetica, che lo rendono, magari solo idealmente, un leader degli emarginati e disamorati della sinistra. Cosa gli è mancato, dunque? La verità, prima di tutto. Che è alla base della credibilità di un uomo, prima ancora che di un politico. 

Come può essere credibile Soumahoro quando in parlamento denuncia – giustamente – le condizioni difficili del sistema accoglienza, laddove la sua famiglia è accusata di aver lucrato su quel sistema? Suvvia, signori, così è troppo facile far cadere qualcuno e i suoi sermoni buonisti. Ci rivolgiamo soprattutto a coloro che l’hanno incensato all’inizio del suo percorso politico, nei salotti tv, sui giornali, nelle trasmissioni, credendo davvero che fosse arrivato il salvatore dall’apartheid del XXI secolo. Restiamo fedeli al principio di non colpevolezza e a quel garantismo che è valore guida delle nostre riflessioni da sempre, ma non lasciamo neppure che qualcuno provi a illuderci. Soumahoro è stato sfruttato, purtroppo, da una parte della sinistra di partito e di stampa, lanciato come novità e poi abbandonato quando la realtà giudiziaria è diventata evidente. 

Da questa storia, comunque finisca, dobbiamo imparare una lezione: diffidare dei politici costruiti, proposti come nuovi, preconfezionati. La politica è un percorso lungo, che parte dalla militanza e passa per lo studio. Se parti da zero e irrompi sulla scena sostenendo di avere la risposta ai tanti dubbi sull’immigrazione in Italia, hai poche chances di durare. 

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