Balcani: la sfida europea e il triangolo russo – cinese

A dicembre 2022 si è tenuto a Tirana il vertice UE – Balcani occidentali per cercare di definire il loro ruolo. È stato il primo incontro organizzato nella penisola balcanica, dunque fuori dai confini europei come era solito avvenire. Sono stati affrontate diverse tematiche che da tempo incombono sulla penisola, il cui esito è ormai da definire. 

Innanzitutto, si è affrontato il tema degli aiuti economici che Bruxelles aveva previsto a favore dei paesi dell’intera area per far fronte alla crisi energetica. Poi, il tema della migrazione irregolare e l’allargamento dell’Unione Europea, tematica ultima non per importanza dato che sta suscitando molti scalpori e nervosismi da parte degli avversari dell’estremo oriente, Russia e Cina.

Un’area contesa da tempo

Nel V secolo, dopo il crollo dell’Impero romano d’Occidente, l’area fu invasa da popolazioni slave ed entrò in seguito nell’orbita dell’Impero d’Oriente. Nel corso dei secoli, le popolazioni slave subirono una conversione al cristianesimo ed oggi – infatti – le religioni più professate in quest’area sono proprio il cattolicesimo e la religione ortodossa. Dal XV al XIX secolo, la Penisola Balcanica fu contesa tra gli Imperi turco e austriaco, diventando non solo territorio di scontro tra l’Europa cristiana e il mondo turco – islamico, ma anche un crogiolo di popoli, etnie, lingue e religioni con una storia segnata da continui conflitti.

Fra il 1918 e il 1991 la maggior parte dei Paesi dell’area balcanica (Slovenia, Croazia, Bosnia – Erzegovina, Montenegro, Serbia, Kosovo, Macedonia del Nord) tranne l’Albania (anch’essa parte dei Balcani) entrarono a far parte della Jugoslavia, prima regno e dopo la Seconda Guerra Mondiale Repubblica Federale Socialista, mai entrata nell’orbita dell’Unione Sovietica. Il paese allora era guidato dal maresciallo Tito – o comunemente conosciuto come il croato Josip Broz – eroe della resistenza contro i tedeschi occupanti. Con la sua forte autorità e il rigido controllo poliziesco, seppe tenere a freno le spinte indipendentiste interne. Dopo la sua morte nel 1980, per circa un decennio il paese subì una situazione di stasi a causa di una crisi economica. 

Dopo il collasso dell’URSS e del blocco dei Paesi comunisti dell’Est Europa, nel 1991 anche la Jugoslavia iniziò a disgregarsi a causa delle tensioni etniche e di una lunga guerra civile che, tutt’oggi, in alcuni paesi persiste. Nel 1991 si proclamarono indipendenti Slovenia, Croazia e Macedonia, nel 1992 la Bosnia e l’Erzegovina. Ad eccezione della Slovenia, in tutti questi paesi esplosero violente tensioni etniche tra i diversi gruppi già mescolati ma divisi dai nuovi confini. 

Nel 1991, quando la Croazia si proclamò indipendente, fu invasa dall’esercito jugoslavo che sosteneva di andare in difesa della popolazione serba presente nelle province orientali del Paese (Slavonia e Krajina). Fu una guerra civile sanguinosa che vide anche bombardamenti dai serbi su città croate e si concluse nel 1995 grazie all’intervento dell’Unione Europea e dell’ONU. 

Ma le guerre civili raggiunsero livelli altissimi in Bosnia ed Erzegovina che si proclamarono indipendenti nel 1992. Si parlò in questo caso di veri e propri crimini di guerra contro la popolazione, in seguito condannati dalla Corte penale internazionale dell’Aia. Anche qui intervennero l’Unione Europea e l’ONU insieme, però, agli Stati Uniti che nel 1995 fecero in modo di arrivare ad un trattato di pace e di formare quella che oggi è la Repubblica Federale di Bosnia ed Erzegovina. 

La Federazione Jugoslava (ormai composta solo da Serbia e Montenegro) cessò di esistere nel 2006 con l’indipendenza del Montenegro. Nel 2008 si rese indipendente anche il Kosovo. 

Dei paesi appartenenti all’area dei Balcani Occidentali, solo la Slovenia (2014) e la Croazia (2013) sono entrate nell’Unione Europea, mentre Serbia e Montenegro sono ufficialmente paesi candidati. Da questo punto di vista, il processo di allargamento europeo a favore del resto dei paesi balcanici rimane lento e poco efficace perché qualche desiderio potrebbe essere stato cambiato. 

I Balcani oggi

La situazione attuale non è delle migliori, alimentata in primis dalla crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraina che ha reso più urgente la necessità da parte dell’Europa di attirare a sé i Balcani occidentali per continuare a garantire pace e stabilità regionale, soprattutto in Bosnia, Serbia e Kosovo. 

Oggi, il rapporto tra Europa e i Balcani occidentali ancora non membri è regolato dal processo di stabilizzazione e associazione (PSA), che regola la politica europea nei confronti di questi paesi per contribuire alla loro preparazione per una futura membership. I loro rapporti sono regolati, in particolare, da due variabili: da una parte, c’è il problema dei flussi migratori che attraversa la cosiddetta “rotta balcanica”; dall’altra, l’importanza strategica che la regione sta assumendo per l’Unione Europea per progetti infrastrutturali ed economici. 

La rotta balcanica

La situazione è particolarmente drammatica nella Penisola Balcanica a causa delle migrazioni irregolari provenienti dalla Turchia. Anche se si parla di una sola rotta, in realtà, si fa riferimento a più rotte che di volta in volta intere famiglie sono costrette a fare a causa del respingimento dei vari paesi. 

Le rotte balcaniche sono percorse maggiormente da siriani, afghani, iracheni, iraniani e pakistani in fuga da persecuzioni, guerre, povertà e fame. La Grecia è stata il primo paese a bloccarli con una barriera in filo spinato lunga 70 km fino al confine con la Turchia e presidiata dai soldati. Si sono unite alla Grecia la Bulgaria, Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Croazia. L’Ungheria ha eretto, anch’essa, una barriera di filo spinato alta quattro metri che corre lungo il confine con la Serbia e con la Croazia. 

Il problema dei migranti e dei profughi, però, non riguarda solo la Penisola Balcanica, ma anche altri stati europei: in primis l’Italia e a seguire Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia. Quest’ultimi hanno chiesto a Bruxelles di finanziare con fondi europei la costruzione di muri alle loro frontiere. Una richiesta che è stata respinta ma che non ha impedito a Lettonia e Lituania di costruirne una al confine con la Bielorussia per fermare l’arrivo di migranti che volevano semplicemente entrare in UE attraverso la Polonia. 

La migrazione che interessa quest’area, dunque, è regolamentata attraverso lo strumento di assistenza pre – adesione (IPA III) che mette a disposizione fondi per il periodo 2021 – 2027. Questi fondi servono per potenziare la capacità di gestione del fenomeno nella regione, anche attraverso un aumento dei poteri esecutivi – come ad esempio verifiche di frontiera e registrazione delle persone – attribuiti al personale di Frontex, agenzia cui è affidato il funzionamento del sistema di controllo e gestione delle frontiere esterne dello Spazio Schengen e dell’Ue.

Progetti infrastrutturali ed economici

L’Unione Europea ha ribadito nell’incontro a Tirana l’aiuto europeo sull’energia nella Dichiarazione di Tirana: 1 miliardo di euro sottoforma di sovvenzioni che possono portare a 2,5 miliardi di investimenti per l’apertura dei Balcani ad unirsi alla piattaforma di acquisti comuni di gas. 

Il pacchetto di sostegno comprenderà 500 milioni di euro destinati a diminuire il costo delle bollette e altri 500 agli investimenti necessari ad accelerare la transizione energetica secondo il piano REPowerEu che ha come obiettivo quello di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. 

I banchi di prova per l’UE

L’UE è messa sotto serio esame dalla relazione tra Serbia e Kosovo: il governo serbo non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Prisitna proclama nel 2008, ma non è l’unica. L’indipendenza non è stata riconosciuta anche da alcuni membri europei come Spagna, Grecia, Slovacchia, Romania e Cipro. Questo potrebbe rendere complicato il suo ingresso in UE, anche se essa ha tentato di trovare un dialogo tra le due parti. Cosa che risulta essere abbastanza difficile data la forte preoccupazione per la cosiddetta “guerra delle targhe” esplosa la scorsa estate e che sembrava essersi risolta con un accordo a Bruxelles. 

Inoltre, l’UE sta considerando anche il fatto che la Serbia conserva uno storico rapporto con la Russia di Putin anche dopo il mancato sostegno alla scelta occidentale di imporre sanzioni contro Mosca sulla guerra in Ucraina. Allo stesso tempo, però, la Serbia rivendica una maggiore autonomia da Mosca dal punto di vista energetico. A chi dovremmo credere?

L’obiettivo primario dell’UE rimane quello di affermarsi nella regione dove, però, appaiono sempre più presenti Russia, Cina e Turchia. I Balcani rappresentano un grande banco di prova per l’Unione Europea perché dovrà riuscire a coniugare problemi ed interessi nella regione. Quale sarà la prossima mossa europea?

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