Benedetto XVI: lo chiameremo “Magno”

Aprile potrebbe definirsi “il mese di Benedetto”. Era il 24 aprile 2005, ben 15 anni fa esatti, il giorno in cui Papa Benedetto XVI si insediava come pontefice. Inoltre, il 16 aprile, Sua Santità il Papa Emerito compie gli anni. Ben 93 primavere, quest’anno, per il grande uomo di Chiesa, nato alla vigilia della Pasqua del 1927. Ed è questa ricorrenza, plurima e straordinaria, di date che mi consente di scrivere del 265esimo Sommo Pontefice di Santa Romana Chiesa, eletto e proclamato dal balcone più importante del mondo il pomeriggio di quel 19 aprile 2005, dopo la morte del grande Papa Giovanni Paolo II.

Oggi, il Papa emerito che ha posto fine al suo pontificato il 28 febbraio 2013, è vivo, e nonostante l’età, continua la sua preghiera e il suo silenzio per la Chiesa Universale. Alessandro Gisotti di Vatican News ha scritto proprio lo scorso 16 aprile che il Papa Emerito ha festeggiato con sobrietà il proprio compleanno al monastero Mater Ecclesiae unitamente al suo segretario particolare, il prefetto della Casa Pontificia, Mons. Georg Gänswein. Dopo la santa Messa, solennizzata per l’occasione, Benedetto ha ricevuto numerose telefonate, lettere e messaggi di voti augurali, ma non ha ricevuto visite, gli è stata regalata una biografia scritta da Peter Seewald e sono stati intonati alcuni canti tradizionali bavaresi, terra a lui cara. “Non si lascia rubare la speranza” afferma il Prefetto Gänswein, parlando del Papa Emerito che segue i fatti inerenti la pandemia Covid-19 con attenzione e particolare intensa preghiera per tutti gli ammalati, i morti, gli operatori sanitari e i sacerdoti coinvolti. Potremmo dire che l’Emerito al soglio petrino, pur vivendo in una dimensione di assoluto nascondimento, non dimentica mai la realtà di un mondo globalizzato, frenetico e dalle tante problematiche, davanti alle quali l’uomo deve costantemente interrogarsi, particolarmente in ordine alla propria mancata onnipotenza.

La prova generale del pontificato fu proprio la celebrazione delle esequie di Papa Wojtyla, di cui Ratzinger fu stretto collaboratore. La presidenza di una liturgia così delicata spettava proprio al Cardinale teutonico in forza della sua carica di Decano del Collegio Cardinalizio. Così recitava un servizio andato in onda al TG5 a cura di Anna Boiardi: “La prova più difficile, l’ultima in ventiquattro anni a fianco di Giovanni Paolo il grande, a chiudere un’epoca e aprirne un’altra, così con un omelia pronunciata davanti ad una platea ampliata con le televisioni a due miliardi di persone, un terzo dell’umanità, il Cardinale Joseph Ratzinger ha mostrato ancora una volta di saper stupire, commuovere, convincere, successore del grande fardello di Giovanni Paolo II, gli sono bastate poche parole, quindici minuti di omelia scandita dal vento profondo e dagli applausi continui: poche asciutte parole, nessun eccesso, nessun superfluo sentimentalismo, la morale consiste nella resistenza alle grandi parole vuote -ripete sempre, puntando gli occhi azzurri e acuti- e ha saputo comunicare tutto. “Possiamo esser sicuri che il nostro amato Papa sta oggi alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice! Sì, ci benedica Santo Padre!

Di lì a poco l’annuncio dell’Habemus Papam dalla loggia più famosa al mondo: suonava squillante la poliglotta formula che mescolava il latino a tutte le lingue del mondo, a pronunciarla fu il Cardinal protodiacono Medina Estevez. “Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Josephum, Sanctæ Romanæ Ecclesiæ Cardinalem Ratzinger, qui sibi nomen imposuit Benedecti decimi sexti.”

Chi è Joseph Ratzinger? Joseph Aloisius Ratzinger viene ordinato diacono nel 1950, prete nel 1951, vescovo il 24 marzo del 1977 col titolo immediato di Arcivescovo e poi creato cardinale solo tre mesi dopo da Paolo VI. Per rispondere più compiutamente a una così complessa domanda biografica faccio nuovamente fede al magistrale pezzo televisivo della Boiardi che parlando di lui, tutto d’un fiato narrava all’epoca: “Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ex Sant’Uffizio, Decano del Collegio Cardinalizio, Presidente della Pontificia Commissione biblica e teologica, chi è il cardinale che ha accompagnato Giovanni Paolo II, nel suo lungo pontificato, diventandone l’altra faccia, quella schiva, taciturna, nell’ombra spesso, sempre alle spalle di un Papa mediatico, grande comunicatore, capace di muovere folle oceaniche; Lui, invece, coltissimo intellettuale dalle consonanti dure, teutoniche, parla poco, è poco popolare, l’hanno chiamato “custode inflessibile della dottrina cattolica, panzer kardinal, arcigno inquisitore”, per altri, invece, rappresenta la salvezza intellettuale della Chiesa in un tempo di incertezza e confusione. Amato e odiato, mai indifferente, uno che dice cose significative, dure da ascoltare, ma che tracciano sempre una via. Sussurrando, magari, le sue meditazioni durante una delle più drammatiche Via Crucis (nel 2005) degli ultimi anni, la prima con il Papa (Giovanni Paolo II) silenzioso ed immobile, spettatore muto delle celebrazioni. E le parole di Ratzinger, preghiere di caduta e resurrezione ad accompagnare le quattordici stazioni di Cristo, sono state un urlo un boato. Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote, quanta sporcizia c’è nella Chiesa! Ha lasciato a bocca aperta il panzer kardinal, lui è capace anche di questo: parole affilate come lame contro la sua Chiesa, inaspettate, quasi da rivoluzionario, come l’ha battezzata anche il settimanale Time, inserendolo tra i venti leader che cambieranno la storia. Qualcuno nelle sue parole Pasquali ha visto una confessione sotto la croce di Cristo, un altro capitolo, un altro segno, sulla strada di questo grande Cardinale silenzioso e prima ancora ci sono stati funerali di Don Giussani. L’omelia di Ratzinger ha raccontato la storia d’amore con Cristo del sacerdote e la sua forza più grande, quel “tu sei con me”, che gli fece superare la valle oscura della malattia. Un’omelia delicata, sincera, sentita, come se il cardinale avesse in mente la sua personale storia d’amore con Cristo, vissuta nel suo estremo bisogno di preghiere e solitudine.”

Ma facendo un tuffo nel passato, poi la collega giornalista ricorda: “Joseph Aloisius Ratzinger nasce il 16 aprile 1927 a Marktl’Amin, bassa Baviera, viene alla luce nelle festività del sabato Santo, come ama ricordare le rare volte che parla di sé, il padre, commissario della gendarmeria, apparteneva ad un’antica famiglia di agricoltori, disprezzava Hitler e insegnava al figlio la sua stessa strenua opposizione alla assurdità del nazismo, anche a rischio della vita. Il giovane e coltissimo Joseph, ultimo di tre figli, laureato con una tesi sulla dottrina della Chiesa in Sant’Agostino, preferirà la croce di Cristo quello uncinata, è più tardi negli anni ‘60 si opporrà ad un altro assolutismo dilagante nelle università: quello delle ideologie marxiste. In quegli stessi anni ‘60 acquista notorietà internazionale, intervenendo nel concilio Vaticano II, come consulente dell’arcivescovo di Colonia, Frings. Scrisse un discorso che fece scalpore, allora lo chiamarono progressista e quando poi con gli anni le sue teorie si fecero più conservatrici, fu ancora più aspramente criticato da quelli che aveva illuso e deluso, come dissero. È Paolo Sesto a nominarlo nel 1977 arcivescovo a Monaco e Frising, il 28 maggio successivo riceve la consacrazione episcopale primo sacerdote diocesano ad assumere dopo ottant’anni il governo pastorale della grande diocesi bavarese. Per la sua nomina episcopale Ratzinger sceglie un motto: ‘cooperatores veritatis’, collaboratori della Verità. In occasione del cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio Papa Giovanni Paolo II scrive: ‘il cardinale Ratzinger ha sempre mirato e servire la Verità cercando di conoscerla sempre più a fondo e farla conoscere sempre più ampiamente’, così nella ricerca di questa Verità il cardinale bavarese fatto irruzione nel mondo, vent’anni di idee nette, convinte, difficili anche: contro l’aborto e la fecondazione assistita, contro i matrimoni omosessuali, a favore del crocifisso nei luoghi pubblici, un gesto che assieme a tanti altri deve preservare il cattolicesimo da un laicismo imperante dell’Occidente. Ha lottato strenuamente con dure parole, perché si accennasse alle radici cristiane dell’Europa nella costituzione: ha perso la sua battaglia constatando che anche l’Unione Europea facevano resistenza ai fatti, alla Verità. Vent’anni di prese di posizione a volte difficili, a volte impopolari, che però hanno accreditato il cardinale teutonico come ecclesiasta che ha il coraggio delle sue convinzioni, teologo che stupisce a volte con il suo anticonformismo, l’insofferenza per le burocrazie ecclesiastiche, il suo rifiuto per i moralismi vuoti e demagogici, ‘le grandi parole’, come le chiama lui, per preferire la realtà e le sue leggi: una politica pragmatica per risolvere i drammi. ‘Per me la bontà implica anche la capacità di dire di no perché una bontà che lascia correre in tutto non fa bene all’altro’, dice.”

Ho una strenua convinzione: Ratzinger, lo chiameremo “Magno”. “Magno”, cioè “il Grande”, nel momento in cui prenderemo atto dello straordinario, virtuoso e santo ministero che egli ha svolto nel corso di quel decennio al soglio petrino, senza calcolare la sua intera vita da sacerdote e da cattolico.

Riformò immediatamente la Curia Romana, semplificandone la burocrazia ma ampliandone il lavoro sostanziale e modificò in apposito motu proprio le norme sul conclave.

Ha sempre interpretato con una ermeneutica assolutamente equilibrata il senso più profondo del concilio ecumenico Vaticano II, particolarmente nel 2010 affermava Benedetto: «Dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che ci fosse un’altra Chiesa, che la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta un’altra, totalmente “altra”. Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro, papa Paolo VI e papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia.»

Ha illuso e deluso, forse, i tanti che lo desideravano progressista per poi essere giunti a tacciarlo di conservatorismo.

Nulla di tutto questo: un Papa capace di interpretare i tempi con gesti modernissimi (e non modernisti! Si badi bene!) e allo stesso tempo legato inscindibilmente alla Tradizione cattolica e al magistero di duemila anni di Fede, trasmessa dagli apostoli a noi.

Il Papa bavarese ha ripreso nel suo pontificato, infatti, molti elementi della tradizione, già nel 2007 con l’esortazione Sacramentum Caritatis esaltò vari elementi di dottrina e liturgia tendenzialmente legati alla storica tradizione ecclesiastica (l’uso del latino come lingua Universale, canto gregoriano…)

Nel luglio di quello stesso anno è il Summorum Pontificum che consentì la celebrazione della Santa Messa a determinate condizioni, secondo il “Messale Romano” promulgato da Pio V, rivisitato da papa Giovanni XXIII nel 1962, prima della complessiva riforma liturgica del 1970. Tale messale era caduto in desuetudine dopo la riforma paolina. A ciò si addizionava un sempre maggior recupero della Tradizione liturgica antica.

Ipocrita e disinformato è chi ha ritenuto benedetto XVI un Papa troppo inconcludente in fatto di lotta alla pedofilia e agli altri scandali. Infatti, già come prefetto del sant’Uffizio si era occupato negli anni ‘90 di una serie di casi in cui era necessario un intervento netto e chiaro per condannare e lottare contro queste forme di corruzione e disonestà, commesse da uomini totalmente lontani dalla grazia di Dio. Il caso “Maciel” ed il caso “Irlanda” furono fra i più consistenti contro i quali poi, da Papa, si è battuto strenuamente.

Un Papa fedele alla dottrina e ai documenti conciliari, che è stato capace di tenere una controversa ma profondissima Lectio a Ratisbona nel 2006, ove affermò la rilevanza di fede e ragione, binomio inscindibile per i Cattolici. Fece scalpore una citazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo a proposito della guerra santa: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava“. Naturalmente il mondo integralista islamico attaccò e condanno il Papa che rispose in un Angelus domenicale che la citazione doveva essere contestualizzata nell’intero discorso tenutosi, ribadendo un invito al dialogo franco fra le religioni. Un Papa che assocerei alla parola Fede, per la quale indisse un anno straordinario dal 2012 al 2013 affinche essa venisse “professata, celebrata, vissuta e pregata”, come dichiarò nel 2011 in motu proprio Porta Fidei.

Un Papa che assocerei alla parola Verità, lui che nel suo motto scelse proprio di ribadire il suo ruolo di cooperatore della Verità, quella di Cristo. E fra le molte e profonde dottrine, ristabilì anche una Verità storica: non ebbe paura di condannare i negazionisti della Shoah, proprio a riprova del suo forte antinazismo più assoluto. «Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa.» Così commentò il 28 maggio 2006, giorno in cui in visita polacca, si presentò ad Auschwitz – Birkenau, pregando per le vittime.

Un Papa della Verità, una Verità che non teme di essere giusta e forse anche un po’ complessa da accettare per l’uomo di oggi: criticò aspramente il relativismo, già alla Missa pro eligendo Romano Pontifice, e questo fu uno degli aspetti ricorrenti di tutto il suo Magistero: «Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.» Ed è in questo relativismo distruttivo che Benedetto ha individuato, come già fece Giovanni Paolo II, il vero problema della crisi dell’uomo del terzo millennio.

Nel corso di un pontificato di otto anni è riuscito a svolgere tantissimi opere diplomatiche e ad un grande numero di visite apostoliche, oltre ovviamente alla vicinissima Italia, ha viaggiato in ventuno paesi di tutti i continenti del globo: particolare riferimento alle più celebri visite tedesche, polacche, spagnole, britanniche e francesi. Ha poi viaggiato in tutta Europa e ha compiuto sette viaggi intercontinentali in America, in Brasile, in Messico, a Cuba, in Australia, nel Libano, in Africa, ma soprattutto nella Terra Santa, passando fra lo stato della Giordania e quello di Israele.

Un Papa viaggiatore, ma al contempo un Papa scrittore, fine teologo: alle tre encicliche Deus Caritas est, Spe Salvi, Caritas in Veritate, dal 2006 al 2009, ha iniziato a stendere poi Lumen Fidei, che avrebbe consegnato a Francesco, così da concludere la terna delle virtù Teologali, Fede, Speranza e Carità. Quattro poi le esortazioni apostoliche e almeno sei consistenti messaggi di pace dal 2005 al 2012, quest’ultimo in occasione della Giornata per la Pace risuonava come un monito e un auspicio: «La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo».

Ratzinger fu attentissimo alla sensibilizzazione delle radici cristiane dell’Europa, nel 2005 diceva in risposta ai contrari: “L’affermazione che la menzione delle radici cristiane dell’Europa ferisce i sentimenti dei molti non cristiani che ci sono in Europa, è poco convincente, visto che si tratta prima di tutto di un fatto storico che nessuno può seriamente negare”. Oggi più di ieri abbiamo bisogno di difendere le nostre radici cristiane ed europee.

In questi giorni è stata annunciata una nuova biografia di prossima pubblicazione, cosa si potrebbe dire ancora? Si potrebbe dire molto, certo, sugli interventi e l’azione di Ratzinger al ministero petrino. Crociato? Santo? Verso di lui si è visto chi ha provato odio e chi amore. Spesso alla stampa disse che a lui i giudizi non interessano e si è spesso definito una piccola “parentesi nella strada verso la Verità”, che è Dio. Ed io sono, personalmente, convinto che quando capiremo a pieno la sua figura umana e sacerdotale, lo chiameremo “Magno”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here