Dialoghi Impossibili: Nicolò Targhetta si racconta

Dialoghi impossibili. 27 storie per ricordarci che (purtroppo) ci siamo dimenticati tutto; 256 pagine, in commercio dal 10 giugno 2021, editore Longanesi; e l’autore? «L’autore legge e scrive per ventinove anni, poi due anni fa si sveglia con la sensazione di non riuscire più a scrivere, così decide di farlo tutti i giorni. In questo modo, scopre che quella che pensava fosse una passione, era un’esigenza. Apre la pagina Facebook Non è successo niente dove racconta una storia al giorno». Oggi questa pagina è seguita da più di 136.000 persone e Dialoghi impossibili è la terza opera che viene pubblicata da Nicolò Targhetta dopo i successi editoriali di Non è successo niente e Lei.

C’è chi ti chiama “fenomeno social”, chi “scrittore di successo”, chi è in realtà Nicolò Targhetta?

In realtà? Nicolò Targhetta è un tizio a cui di recente son tornati gli attacchi di panico. Che piglia lo Xanax perché uno gli ha dato del coglione su internet. Che inciampa per strada, che fa sexting mentre lava i piatti, che c’ha trentacinque anni e solo magliette buffe, che non ha la patente, che se lo rapinano dice si figuri, nessun disturbo. È un tizio a cui non piace Facebook, a cui non piace la gente, che dubita costantemente di se stesso, ma ubbidisce a tutte le voci registrate, che non piange ai funerali e poi scoppia in lacrime durante il biopic di Baggio. Insomma, come tutti quelli che si sentono in dovere di scrivere, è un disastro.   

In un’intervista rilasciata al Corriere del Veneto hai voluto rimarcare l’importanza dell’empatia, uno strumento che ti ha permesso di metterti nei panni dell’altro sesso e svestirti delle tue di sensazioni per prendere quelle di Lei. Uno strumento che del resto avevi già imparato a usare nella tua esperienza con il blog Non è successo niente, una sorta di galleria dove le opere d’arte sono le tue esperienze di vita. Un blog fortemente controcorrente: se il XXI secolo chiede rapidità, contenitori che siano più importanti dei contenuti, profili accattivanti esteticamente, Nicolò Targhetta risponde con post lunghi più di cinquemila caratteri che toccano tematiche complesse e spesso mal interpretate. Nella bio del tuo blog scrivi: «un post al giorno. Tutti i giorni. Nella speranza di riconoscerci», direi che alla fine quella «speranza» è diventata certezza.

Un anno fa ti avrei detto sì. Anzi, ti avrei detto checché se ne dica. Checché se ne dica Facebook è un bel posto, checché se ne dica è una bella realtà, piena di empatia, di voglia di mettersi in gioco. Checché se ne dica la maggior parte della gente non si è ancora arresa alla “facilità”, la facilità dei sentimenti, delle informazioni, dell’ironia.

Oggi, dopo un anno di pandemia e parecchi mesi di quarantena che ci hanno costretto a una lunga apnea dentro i social e con noi stessi, ti dico proprio il contrario. Oggi la gente vuole una cosa sola: avere il diritto di non pensare. Perché pensare è una gran rottura di coglioni. Ti costringe a perdere tempo, a metterti in discussione e magari pure a cambiare. Ecco, io credo che in questo momento siamo tutti troppo incazzati, troppo delusi o troppo spaventati per pensare davvero. E se prima volevamo soluzioni facili a problemi complicati, adesso gli spazi che concediamo all’apprendimento, all’indignazione e alla riflessione mi sembrano ancora più ridotti, abbozzati e superficiali. Certi meme però sono uno spasso.

In una sorta di Q&A sul tuo profilo, hai risposto alla domanda sul perché si dovrebbe comprare il tuo ultimo libro con «perché quella cosa che cerchi, quella che hai sempre cercato, quella capace di colmare il vuoto esistenziale senza nome che ti porti appresso da quando hai imparato a pensare, è nel libro». Cos’è che hai trovato tu, durante il tragitto che ti ha portato dall’idea, alla stesura e infine alla pubblicazione?

Scrivere Dialoghi Impossibili è stato molto divertente e catartico. L’idea di costruire una linea del tempo fatta di dialoghi capace di esplorare tutte le ipocrisie che ci trasciniamo dietro da millenni era qualcosa che sentivo di poter sviluppare per bene. E non è una sensazione che mi capita spesso di provare.

Il fatto che, in una forma o nell’altra, siamo sempre gli stessi, le stesse scimmie confuse e perdenti che si sono autoproclamate protagoniste della Storia, mi fa provare una strana tenerezza nei confronti di ‘sto orrore. Proprio cercando i vari parallelismi fra ieri e oggi, durante la stesura, mi rimbalzava in testa quella che credo sia l’unica grande verità del libro: gli ultimi diecimila anni sono serviti solo ad avere biancheria intima migliore.

Nicolò Targhetta, i tuoi monologhi (o dialoghi con le tue personalità) sono diventati dei post piuttosto seguiti; questi sono diventati parte di un libro che ha avuto un importante successo. In tutto ciò, le tue parole sono state portate persino a teatro. Qual è il prossimo passo? E perché proprio un film?

Oh sì, un film sulla generazione dei trentenni, sui loro sogni e le loro insicurezze. “Avanguardia pura”. Mi piace molto lavorare con l’ambiente teatrale perché condivido con lui la stessa sfumatura di sfiga. Mi sento molto orgoglioso quando i miei pezzi vengono portati in scena e vedo che funzionano sul palco. A breve anche Lei, il mio secondo libro, diventerà uno spettacolo e speriamo possa succedere lo stesso con Dialoghi Impossibili. Altri cinque minuti, mamma, e poi giuro che ti rendo orgogliosa. 

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