Perché leggere “Il sosia” di Fëdor Dostoevskij, l’uomo e il suo “doppio”

Non si può resistere molto tempo senza leggere Dostoevskij, l’autore che rappresenta la capacità di sondare psicologicamente l’uomo e le sue più nascoste paure, è uno scrittore che affonda con il linguaggio, affilato come la lama di un coltello, nell’angoscia esistenziale di ogni uomo, dell’uomo in quanto tale, e per questo riconoscibile per tutti noi, per gli uomini di tutti i tempi.

Nelle sue elucubrazioni mentali, nei vaneggiamenti patologici, nei discorsi apparentemente senza senso, nelle immagini e nelle paure della mente, scava così a fondo da metterci di fronte alle nostre paure, angosce e sofferenze inconsce, il nostro io guarda l’inconscio più profondo, quasi come in uno specchio, quasi come fosse il suo “doppio”, e se il riconoscere le nostre angosce è già, in qualche modo, superarle, Dostoevskij ci aiuta a ritrovare la serenità interiore.

Quando la vita ci delude, ci inganna, ci inasprisce, ci addolora, ci fa vedere nemici ovunque, un autore così conscio della fragilità umana, della sua “malattia” interiore, della sua complessità, ci fa sentire compresi, non più soli, ci fa riscoprire, paradossalmente, il gusto della vita, una fluida capacità di riscossa. Come nei poeti che cantano il “male di vivere”, ad esempio il grande Leopardi, ritroviamo in lui una lucida capacità di analizzare la cruda esistenza e, nel contempo, la forza di rialzarci e amarla.

Opera giovanile, all’inizio fu un clamoroso insuccesso, ma il nostro autore definirà il protagonista Goljadkin, un oscuro e grigio funzionario impiegato nell’amministrazione, un capolavoro, un capolavoro del dolore e del fallimento.

Nei romanzi di Dostoevskij ritorna spesso l’idea del doppio, del sosia, i personaggi sono visti come in un gioco di specchi, danno di loro stessi più immagini speculari. È il doppio nella letteratura, il bene e il male, luce e ombra, proiezioni enigmatiche del nostro io sconosciuto, come ci ha insegnato tanta psicanalisi, anche e soprattutto a noi stessi.

Ma non voglio qui parlare del doppio in letteratura, non voglio fare una lezione sul sosia, derivato da un personaggio teatrale, ma voglio condurvi tra le righe di un romanzo, che scava così profondamente nella psiche dei personaggi, di un autore che compenetra totalmente il modo di pensare del protagonista così a fondo, che il lettore si trova lui stesso a vivere e a soffrire con i personaggi una situazione assurda e paradossale. Non è questo forse uno degli obiettivi della più alta letteratura? Il lettore egli stesso protagonista.

Nel romanzo abbiamo due Goljadkin, quale sarà l’autentico? Quale il falso e impostore? Non ci è dato saperlo, come noi non sappiamo mai veramente chi siamo, se quello che accettiamo e mostriamo agli altri o quello che reprimiamo e ci sforziamo di combattere.

Lezioni di psicanalisi ante litteram.

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