I numeri, i doveri e i rischi dell’immigrazione afgana in Italia

La crisi politica in Afghanistan, in atto da giorni, ha generato un flusso migratorio di persone che cercano rifugio lontano dal Paese in mano ai Talebani. Le partenze dall’aeroporto di Kabul sono scandite dalle decisioni degli Stati NATO: nessun volo in più rispetto a quanto programmato. E mentre i Talebani hanno installato dei checkpoint davanti agli scali aeroportuali e chiedono 1500-2000 dollari a chi voglia accedervi, pur iscritto nelle liste di partenza, sempre più civili affollano l’ingresso dell’aeroporto in cerca di speranza. La maggior parte di loro, tuttavia, non riesce a lasciare il Paese. Chi espatria viene indirizzato verso gli Stati europei che hanno dato l’assenso ad accogliere: l’Italia è fra questi. 

Dal giugno scorso, sono più di 1500 i cittadini afgani tratti in salvo e circa 1000 quelli trasferiti in Italia negli ultimi giorni (fonte: Rainews). Si tratta di numeri che, senza dubbio, sono destinati ad aumentare, giacché i ponti umanitari continueranno. Dopo ogni sbarco, vengono effettuate le procedure sanitarie e in seguito i passeggeri vengono reindirizzati verso i luoghi di permanenza stabiliti dai vertici governativi. Gli aerei verso Kabul, intanto, si susseguono. 

In Italia, sulla base dei dati ISTAT aggiornati al 1 gennaio 2020, il totale dei residenti afgani ammonta a 11.100 circa, in netta prevalenza uomini, solo un migliaio o poco più donne. Rispetto alla popolazione straniera, gli afgani rappresentano solo lo 0.2%. Il dato interessante, tuttavia, riguarda la variazione rispetto all’anno precedente, ovvero il 2019: + 4.9%. Vale a dire, 545 in più in un anno, senza che il ritiro delle truppe NATO fosse già stato materializzato. È pacifico che si tratti di numeri indicativi, sia perché la fonte è relativa al 2020, sia poiché enumera soltanto  i “regolari”. Per quanto concerne gli “irregolari”, la questione è più complessa.  

L’esperto di immigrazione dell’ISPI, Matteo Villa, ha evidenziato che l’Italia, storicamente, è il Paese europeo che accoglie più richiedenti asilo afgani. Infatti, dal 2015 a oggi l’Italia ha accolto molte richieste di protezione di cittadini afgani e ne ha negate solo 705. Di questi ultimi, 130 sono stati rimpatriati in breve tempo. Quindi, più o meno, a oggi gli irregolari sono circa 600. Difficili, comunque, da rintracciare e da inserire nel calcolo. 

I numeri riportati all’inizio del precedente paragrafo, se paragonati a quelli degli ultimi due mesi, con un netto incremento riscontrato negli ultimi giorni, lasciano trarre alcune conclusioni.

Innanzitutto, l’incidenza della popolazione afgana su quella italiana e soprattutto su quella degli stranieri in Italia è minima. Da valutare l’impatto della crisi innescata dai Talebani: i ponti con Kabul andranno avanti per un po’ di tempo, ma quanto esattamente? Se già 1000 civili afgani sono arrivati in pochi giorni, ovvero il doppio rispetto a quelli arrivati in tutto il 2019, la proporzione tra numero di profughi e brevità del tempo resterà la stessa?

Si tratta di interrogativi non sottovalutabili. L’Italia ha il dovere morale di anteporre l’umanità e la responsabilità agli egoismi, anche in considerazione del fatto che essa stessa ha partecipato attivamente alla missione occidentale e, quindi, è protagonista della vicenda. Se vogliamo spingerci più in là con le considerazioni, è anche colpevole, assieme agli Alleati, dell’escalation della crisi civile afgana. Perciò occorre accogliere, ma preoccuparsi altresì che l’Unione Europea risponda in solido all’appello mondiale. È un’occasione unica per l’UE, che in passato, in fatto di immigrazione, non ha badato granché alle criticità italiane: dovrà dimostrare che tutti gli Stati membri possono fare la propria parte. Pianificare gli arrivi, accelerare le redistribuzioni e, soprattutto, monitorarsi affinché gli afgani in fuga dai Talebani possano integrarsi al meglio nelle comunità europee. Parlare di collocazione presso gli Stati confinanti con l’Afghanistan suona come uno scaricabarile che l’Occidente non può permettersi; il Partito socialdemocratico tedesco, così come la CDU, vorrebbe aiutare i Paesi vicini anziché instaurare corridoi umanitari. Ma accanto all’Afghanistan c’è il Pakistan, alleato storico dei Talebani e, forse, complice della loro presa di potere; e c’è l’Iran, a cui probabilmente non dispiace vedere l’Afghanistan libero dalle truppe statunitensi (il 7 luglio scorso una delegazione di talebani si era recata a Tehran per partecipare a colloqui patrocinati dall’Iran col governo di Kabul). 

Occorre, inoltre, evitare i fantasmi del 2015, quando Italia e Grecia si ritrovarono in balìa di una crisi migratoria ingestibile, definita generalmente “crisi europea dei migranti”. Allora fu promessa una distribuzione che non avvenne. Anche oggi l’Italia spinge per un sistema condiviso, tuttavia Germania e Francia preferiscono adoperare cautela. Per entrambi, le elezioni sono vicine e il tema immigrazione scotta. Il rischio, per noi, nonostante Draghi voglia assumere la leadership europea in tema, è finire come sei anni fa: circa 150.000 migranti arrivati in Italia solo in un anno, di cui il 50% proveniente dalla Siria (2015 anno “di punta” della crisi siriana) – fonte OIM e UNCHR. 

In seguito, l’incognita terrorismo non può non essere considerata. Se i princìpi di solidarietà prevalgono fra gli Stati europei, deve essere evitata parimenti ogni infiltrazione terroristica. La simpatia, nonché l’alleanza, tra i Talebani e Al-Qaida è nota; occorre arginare ogni possibile insurrezione qaedista in ambito occidentale. L’abbandono della NATO dall’Afghanistan ha rallegrato i terroristi di Al-Qaida, lasciati ora soli e liberi dallo storico nemico. Pertanto, insieme alle porte aperte verso chi fugge, sarà necessario razionalizzare i fenomeni migratori, con la consapevolezza che, nell’epoca contemporanea, per diffondere terrore non serve un’arma, o un esplosivo all’avanguardia, bensì basta rubare un camion e usarlo come ariete su una folla spensierata. Le strategie del terrorista, negli anni, non si sono soltanto sviluppate, ma soprattutto semplificate. La storia francese degli ultimi anni, purtroppo, insegna molto in tema. 

In fin dei conti, la palla è nelle mani dei leader europei. Se sapranno anteporre  la solidarietà umana agli egoismi nazionali, ripartendo equamente i numeri dell’immigrazione afgana, la situazione sociopolitica non sfuggirà al loro controllo. Invece, se accadrà come in passato, non solo alcuni Paesi dovranno fare i conti con gli immigrati che spetterebbero in parte agli altri, ma vivranno anche anni in cui la propria politica nazionale sarà in balìa del populismo e del sovranismo, così come è, anche in Italia, più o meno dal 2015. 

Decisioni da prendere attentamente per il futuro. 

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