Il Salone del Libro e la libertà di dire no

Libertà è partecipazione, cantava Gaber. Libertà di parola, di espressione, di pensiero. E anche, in certi casi, di rifiuto. Di quest’ultima si è avvalso Paolo Giordano, scrittore italiano con formazione da fisico, curiosità che non tutti conoscono. 

Da anni ormai nel novero degli intellettuali di punta del paese, a Giordano era stata offerta la possibilità di dirigere l’edizione del Salone del Libro di Torino del 2024, raccogliendo il testimone del reiterato (e ormai stanco, per sua stessa ammissione) Nicola Lagioia.

«A me non sembra, per quello che ho percepito di questo percorso, che ci siano più le condizioni per la mia partecipazione alla manifestazione d’interesse»; così Giordano ha declamato in conferenza stampa lunedì 13 febbraio, ritirando la sua candidatura nello stupore generale. Le motivazioni dello scrittore avrebbero a che fare, tra le altre cose, con alcuni nomi scelti per il comitato editoriale, con i quali non si è sentito completamente a suo agio nel discutere e dibattere.

Certo, Giordano pubblicamente non punta il dito contro nessuno; con grande onestà intellettuale, anzi, dichiara di aver rifiutato in seguito a sensazioni di disagio, ammettendo di non aver percepito una totale libertà nelle scelte e nelle decisioni, sostituita invece da atteggiamenti di convenienza e posizionamenti: «Si parla tanto di pluralismo, ma quello che mi spiace è che non ci sia fiducia nell’universalità dei libri e della cultura; l’idea di polarizzare, in particolare se si parla di cultura, non mi appartiene».

Nessun riferimento politico, dunque, nelle sue parole. Ma la formazione del governo a guida di Fratelli d’Italia e le posizioni del nuovo ministro della cultura Sangiuliano fanno risuonare qualche campanello nelle orecchie dei più; il contesto politico è cambiato, e con esso le dinamiche di organizzazioni dei festival e delle fiere più in vista (basti ascoltare la conferenza stampa tenuta da Amadeus in seguito al Festival di Sanremo, durante la quale si accenna ad una sua sostituzione per l’anno prossimo con qualcuno più in linea con il nuovo governo).

Ribadire quanto la cultura debba essere libera e indipendente è fondamentale, soprattutto in questo periodo storico; tuttavia, ai livelli più organizzativi, l’influenza della politica nella Cosa pubblica è qualcosa che in Italia pare da sempre inevitabile. E la lunga mano del governo, apparentemente, è arrivata a intercedere con l’evento culturale più in vista del nostro paese: «Mi è stato chiesto di inserire alcune presenze specifiche nel comitato editoriale. Figure di area. Di destra. Sono stati fatti anche nomi precisi, poi cambiati» ammette Giordano, spiegando poi che il vero problema non sarebbe tanto lo schieramento politico dei partecipati, quanto piuttosto un’idea di cultura vincolata ideologicamente, non completamente libera; non “indipendente”, insomma, come ha sottolineato Lagioia.

E mentre la nuova nomina viene ormai rimandata a giugno, il fronte intellettuale e istituzionale si schiera, prende parola sulla questione; a partire da Nicola Lagioia, che ribadisce sui social l’importanza di una cultura libera da qualsiasi imposizione politica, superiore a schieramenti e ideologie, fino a Elena Loewenthal, scrittrice e direttrice del Circolo dei Lettori e supposta vicedirettrice del Salone sotto Giordano, che si rivela dispiaciuta ma rispettosa della scelta dell’autore. 

Non mancano gli avversi alla decisione: il coordinatore del comitato direttivo del Salone, Giulio Biino, contesta le argomentazioni di Giordano dichiarando come i nomi proposti fossero “una garbata richiesta del ministro della Cultura – il cui dicastero peraltro finanzia il Salone attraverso il Centro per il Libro e la Lettura – di poter condividere, all’interno del rinnovando comitato editoriale, oggi composto di 19 membri, tre nominativi di espressione del ministero”. Come se l’editoria, e la cultura in generale, dovessero necessariamente trovare un bilanciamento politico nella loro gestione. 

Indagare le ragioni di questo presunto scompenso culturale percepito dalla destra italiana aprirebbe un discorso storico complesso; quel che è certo è che la revisione interna ai partiti conservatori non può meramente risolversi in un’edizione di una fiera culturale. 

“Attraverso lo specchio”, dunque, potrebbe profeticamente innescare un processo di autoriflessione generale, tra destra, sinistra e anarchici gaberiani. 

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