“Il tempo perduto”, Annita Bava ci racconta il suo primo romanzo

Annita Bava, complimenti per il suo primo romanzo che ha intitolato Il tempo perduto, edito dalla Casa Editrice Leonida e in uscita nei prossimi mesi. Vuole raccontarci la genesi dell’opera?

Grazie innanzitutto dei complimenti! Bene, già la prima domanda mi mette un po’ in crisi, se devo essere sincera. La genesi dell’opera… be’, è piuttosto controversa, direi. Il tempo perduto nasce nel lontano 2015, anno in cui frequentavo l’ultimo anno del corso di laurea in Medicina e Chirurgia all’Università di Messina. Ricordo fosse fine agosto o giù di lì e fossi intenta a preparare due esami per l’imminente sessione di settembre. Era notte fonda e stavo ripensando – non mi chieda per quale motivo, la mente ha le sue ragioni che la ragione non conosce, rielaborando una celebre frase di Pascal – al più noto romanzo di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie. E qui va fatta una dovuta premessa: si tratta di un romanzo al quale io personalmente sono molto affezionata sin da bambina. Ricordo con affetto e un po’ di nostalgia che l’omonimo cartone animato della Disney fosse l’unico che mancava nella mia collezione di VHS, motivo per cui quando, una volta all’anno – generalmente sotto le feste natalizie , veniva trasmesso in televisione si veniva a creare una sorta di raccoglimento familiare davanti alla tv, con me che cercavo (invano) di zittire tutti i parenti (siamo una famiglia molto numerosa) per poter cogliere anche il più microscopico dettaglio delle bizzarre conversazioni tra Alice e i buffi personaggi che man mano incontrava lungo la sua strada “sotto terra”. Ecco, proprio questo “sotto terra” simil-dantesco mi affascinava e inquietava al contempo. Negli anni successivi ho letto il romanzo e ne sono rimasta letteralmente innamorata. Quante diverse sfaccettature di lettura ha? Quanti segreti nasconde, sotto la superficie di un’apparente e banale storia per bambini? D’altra parte, Lewis Carroll (o dovrei chiamarlo Charles Lewis Dodgson?) non era certo uno stupido. No, affatto. Stiamo parlando di una personalità estremamente eclettica: matematico, scrittore, fotografo, logico. Persino prete. Cosa ci voleva trasmettere con la sua storia? Perché Alice è uno dei pochi esseri umani in essa, per esempio? Perché il Cappellaio Matto è matto, il Bianconiglio fissato con il tempo o la Regina di Cuori con il rosso e con la decapitazione? Cos’hanno in comune un corvo e una scrivania? Bene, la mia, di storia, nasce proprio come umile tentativo di risposta a questi e altri quesiti che mi sono posta in questi anni, sin da bambina. Nello specifico, quella famosa notte di agosto del 2015, pensando a Carroll e a Marcel Proust, mi era sembrato geniale dar vita a una storia che avesse come protagonista una ragazza di nome “Madeleine” (o “Mad”, per gli amici), e banalmente da questo nome ha preso poi gradualmente vita tutto il resto dell’opera, in maniera tanto spontanea quanto imprevedibile. Magica, oserei dire (solo uno scrittore mi potrà capire). 

Sembra di comprendere che uno degli autori che in qualche modo l’ha inspirata sia Lewis Caroll e la sua Alice nel paese delle meraviglie, come è nata l’idea di questo accostamento e perché?

In realtà il romanzo è liberamente ispirato sia ad Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll che alla più celebre opera di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (da qui il titolo). L’idea di questo accostamento è nata, come le anticipavo, una notte d’estate di circa sette anni fa: da un lato volevo rispondere, a modo mio, alle tante domande che mi sono sempre posta sui personaggi di Alice nel paese delle meraviglie (“che vita ha fatto il Cappellaio matto?”, “Perché è impazzito?”, per citarne solamente due) e dare a ognuno di loro una storia, dall’altra mi affascinava il legame tra le riflessioni di Proust sul tempo e il modo bizzarro in cui Carroll affronta questa tematica nei suoi scritti (penso all’orologio del Bianconiglio, ai non-compleanni e all’interminabile ora del tè del Cappellaio e della Lepre di marzo). “Se tu conoscessi il Tempo come lo conosco io Scommetto che non ci hai nemmeno parlato, col Tempo!”, prorompe con enfasi il Cappellaio Matto a una perplessa Alice, quando lei lo accusa di sprecarlo a porre indovinelli senza senso né risposta. E aggiunge: “Per esempio, metti che siano le nove di mattina, l’ora di cominciare le lezioni: basta che gli sussurri una parolina, al Tempo, ed ecco che le ore volano via in un battibaleno! L’una e mezza, l’ora di pranzo! (…)”. Ecco, non è forse questo un passaggio magnifico dell’opera, che, nella sua estrema veridicità, ricorda da vicino – e non poco -, in anticipo di circa mezzo secolo, la riflessione di Proust sulle madeleine (poi dici, da dove le è uscito il nome della protagonista? Ecco, proprio da questo episodio di Alla ricerca del tempo perduto)? Per chi di voi non lo conoscesse, in questo passaggio della sua opera il solo profumo (percezione sensoriale) delle madeleine (immerse nel tè) porta indietro il protagonista, in maniera del tutto involontaria, ai tempi della sua infanzia, abbattendo l’invisibile muro che separa presente e passato (leggete il passaggio e ne capirete di più, sono già stata abbastanza prolissa) e svelando in pochi istanti quanto il tempo sia ingannatore. Bene, da questi elementi chiave è nata l’idea de Il tempo perduto.  

Il leit motiv del suo romanzo è il tempo, nel secondo capitolo de Il tempo perduto, lei cita sant’Agostino che alla domanda su cosa sia il tempo risponde: “Se nessuno me lo chiede, lo so. Se dovessi spiegarlo, non lo so”. Lei Annita ha trovato una sua personale risposta al quesito?

Solo domande semplici, eh? Io… direi di no. Assolutamente no. Sa, in un capitolo della mia opera metto in bocca a uno dei personaggi principali una frase che sento molto e su cui rifletto spesso: “È come se i bambini fossero immuni al trascorrere degli eventi. Vivono in un continuo e infinito presente: il passato non esiste nella loro mente, perché fondamentalmente è così breve che non ne hanno memoria. Il futuro è un grosso punto interrogativo, invece”. Ecco, tempo e infanzia sono due tematiche che spesso accosto, forse in maniera impropria. Cosa sia il tempo di per sé, concettualmente parlando, non lo so. Non sono una fisica né una scienziata, ma solo una persona a cui piace più porsi domande che trovare risposte certe. Di certo il tempo nella mia mente non è un qualcosa di lineare, come un binario, ma è più simile a un mandala. Tutto si ripete, tutto torna, parafrasando lo storico Tucidide, anche se io, da brava ansiosa che vorrebbe controllare il futuro, tendo a vivere con molta apprensione l’incertezza che sta dietro al continuo scorrere degli eventi.

De Saint-Exupery diceva che l’essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che col cuore, Lei è anche medico cardiologo, dottoressa Bava verrebbe da chiederle, lei cosa vede col cuore?

Contenta di constatare che anche questa domanda mi mette in difficoltà, e non poco. Da cardiologa, quando mi si pongono domande sul cuore tendo a pensare a esso in maniera sterile, come a un organo da studiare tramite prelievi ematici e indagini strumentali (ecg, ecocardiogramma e simili). Spogliandomi del camice bianco, mi ricordo però che il cuore, a ben pensarci, è anche un organo in continuo movimento (l’unico del nostro corpo, non dimentichiamocelo). Penso quindi ad Aristotele e ai miei vecchi studi di filosofia. Il movimento diventa così nella mia mente sinonimo di vita, perché proprio da esso, a partire da un livello microscopico (moto di particelle, moto di ioni nelle cellule del nostro organismo e conseguenze che esso determina, lo stesso moto degli spermatozoi verso le cellule uovo) sino a un livello macroscopico (pensiamo al moto del nostro pianeta, o dello stesso universo) nasce la vita. Tutto ciò che è immobile, invece, viene classicamente associato alla morte. Divago un po’, come è mia inveterata abitudine, quasi arrampicandomi sugli specchi, per cercare di dare una risposta alla sua domanda. Cosa vedo io col cuore… be’, in questo periodo storico molta sofferenza. Molta, troppa superficialità. Troppo egoismo. Tante ingiustizie. Dalla mia esperienza in reparti COVID ho tratto queste amare riflessioni e approfitto di questo piccolo spazio per raccomandare a chiunque legga di vaccinarsi, e di farlo al più presto. È una scelta solidale e altruista che ha un impatto sulla nostra società (e sulle vostre vite) che non potete neanche lontanamente immaginare. Nel mio romanzo fantasy parlo di doni e abilità magiche, che consentono ai suoi protagonisti di “cambiare il mondo”. Bene, voi che leggete avete in questo momento esattamente lo stesso straordinario potere. Usatelo, e fatelo con responsabilità e senso civico.

La ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato e concludiamo dicendo che il tempo che i lettori dedicano al suo romanzo non sarà certamente “tempo perduto”.

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