Il vero tifoso non può amare la Super Lega

Scordatevelo. In questa sede non ci sarà alcun tecnicismo, dibattito o approfondimento teorico-regolamentare sulla Super Lega. Il web da ore è gonfio di spiegazioni in merito. Questa è molto più semplicemente una bozza d’articolo che rappresenta un immaginario status mentale, una kafkiana svolta terapeutica che improvvisa un’analisi della sconfitta umana. Per certi versi, una sorta di ribellione amara al groviglio depressivo innescato da pochi eletti.

È dunque necessario che voi sappiate il mio nome. Mi chiamo Cristiano – ma potrei benissimo essere Giovanni, Francesco, Giuseppe, Mario – ho trent’anni e sono appena sette minuti che non impreco qualcosa o qualcuno vicino al capitalismo ultramoderno. Rappresento il tifoso. La figura chiave del tifoso con una fascia nera attorno al braccio, avvolta con cura in segno di lutto per la morte del calcio avvenuta nella tetra notte tra il 18 e il 19 aprile 2021.

Era malato. Malatissimo. Eppure, nonostante i suoi innumerevoli difetti, mi/ci faceva star bene. Era colui che allietava i nostri sabato sera al pub davanti a una birra – perlomeno quando si poteva – o come un parente stretto che la domenica veniva abitualmente a pranzare da te. Routine familiare. La stessa che animava l’attesa, lunga un anno e oltre, per una partita anche di poco conto. In buona sostanza, è un pezzo d’infanzia che se ne va, ucciso dai suoi stessi figli: dei Bruti col sangue agli occhi, avari e avidi, egoisti ed indifferenti fino all’osso.

Sono scosso, triste ed angosciato, forse incazzato come il tizio di fianco a me che a questa surreale seduta in stile Tifosi Anonimi dice cose piuttosto condivisibili. Parla dei Golia senza freni e dei poveri Davide quasi estinti. “I Golia ti comprano” – dice – “stadio dopo stadio, TV dopo TV, fenomeno dopo fenomeno. Appiattiscono la competizione, rendendo il successo una chimera per pochi. Mercificano e avvelenano i sogni e le passioni, corrompono i valori e annullano l’imprevedibilità”. Hai ragione da vendere, amico mio, ma qui non ti ascolta nessuno e se qualcuno lo fa, preferisce voltarsi dall’altra parte. È più comodo.

La verità assoluta è che hanno ridotto in poltiglia i sogni di milioni di ragazzi e veterani del pallone per la loro smania di controllo e potere. Un quadro figlio di una mala gestione, certo, ma che non giustifica in alcun modo una vergognosa involuzione dello sport, ulteriormente privatizzato e privato di ogni etica e morale possibile.

La solita storia: si è scelta la strada dell’arricchimento di pochi, già ricchi, e la liquidazione senza pietà dei club minori che da qui a qualche anno risentiranno dell’inevitabile assenza di fondi cospicui e, di conseguenza, di ogni eventuale ambizione. Una spaccatura evidente che relega a provincia del calcio parecchie realtà, anche note, alcune delle quali in costante equilibrio sul filo del baratro.

Ma molto probabilmente sono parole al vento le mie, così come quelle di Jürgen Klopp, di Gary Neville e del mio vicino di sedia, che tutt’a un tratto sembra un mix tra l’uomo perfetto e un critico Fantozzi al cospetto della corazzata Potëmkin. Siamo nostalgici di una realtà che talvolta ci adirava e che paradossalmente non c’è più, sebbene da poche ore. Sembriamo stupidi, fuori luogo e ridicoli, ma forse neanche troppo.

Siamo semplici tifosi che detestano le presunte élite, firme di questa specie di nuovo giocattolino esclusivo ideato a suon di petroldollari e vanità. E scordatevelo che cambieremo idea. Scordatevelo.

(Ciao, mi chiamo Cristiano e non impreco da circa cinque secondi). 

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