Intervista a Isabella Schiavone: “Fiori di mango”, un viaggio alla scoperta del proprio cuore

Fiori di mango”,  un viaggio alla scoperta del proprio cuore

L’arte, la letteratura, provengono da noi, sfociano dalle nostre mani che si muovono sulla tela, che decidono di parlare affidandosi all’inchiostro. Nascono dai nostri occhi puntati sul mondo eppure, ne rimangono indipendenti. Sono come figlie ribelli di un genitore apprensivo: una volta che è stata data loro la vita, non si può fare altro che amarle, lasciando che prendano la loro strada di successi e contraddizioni, imprevisti e qualche (in)ammissibile sbaglio. E’ come se dietro ogni forma d’arte si celasse un segreto ignoto al suo stesso creatore, qualcosa di presente e impalpabile che necessita di essere libero per poter vivere davvero, per raggiungere ciascuno, ma ciascuno a suo modo.

L’arte e la letteratura non hanno una definizione, ma alcuni dicono che non siano altro che bellezza; il tipo di bellezza che necessita di tempo per essere capita, che non si può ne definire ne catalogare.

La bellezza dell’arte è la bellezza dell’essenza; ha a che fare più con le anime che con i corpi e forse, è proprio per questo non se ne può trarre una definizione. Semplicemente vive. Compare un giorno nel mondo, con la sua combinazione di geni irripetibili e lineamenti assurdi e, da quel momento, non fa che cercare un modo per “arrivare”; ricordando a noi stessi che non c’è creazione o esperienza, crescita o dolore che non meriti di essere raccontato. 

Ed è proprio per questo motivo che Lapaginabianca.docx ha deciso, in collaborazione con Lanterna, di dare vita a Letteral(mente), una rubrica nata apposta per dare voce a tutti quegli autori che, all’arte e alla letteratura hanno dato la vita, plasmando loro un corpo —senza definizione ne scheletro— che potesse esprimere quanto di più al mondo ci rende esseri umani. 

In questo primo articolo abbiamo deciso di intervistare Isabella Schiavone. 

Isabella Schiavone è una giornalista professionista. Dal 2002 lavora al Tg1: prima ad Uno Mattina, poi come inviata a Tv7 e Speciale Tg1, poi nella redazione Società, dove ora è capo servizio. Si occupa di inchieste, reportage e attualità su temi ambientali e sociali. Prima ha lavorato nelle radio e nelle tv locali, al Giornale Radio Rai, nella redazione Esteri del Tg2 e a Rai Educational. Ha scritto, inoltre, per l’Ansaweb, per Redattore Sociale e per il Gruppo L’Espresso. Ha vinto il Premio Luchetta Hrovatin nel 2006, con un’inchiesta sulla droga a Scampia (Noi, ragazzi dello zoo di Scampia). Nel 2016 le hanno consegnato il Premio Pentapolis – Giornalisti per la Sostenibilità. Nel maggio del 2017, ha ricevuto il Diversity Media Awards per un servizio sulle famiglie arcobaleno. Nel settembre del 2018 ha ricevuto il Premio responsabilità sociale Amato Lamberti nella categoria giornalismo e, nel maggio del 2019, un suo servizio sull’autismo è stato candidato ai Diversity Media Awards. Dopo la laurea in Sociologia a La Sapienza di Roma e la specializzazione in Giornalismo alla Luiss Guido Carli, ha frequentato il Corso di Perfezionamento per inviati in aree di crisi della Fondazione Cutuli, da cui è nata una collaborazione universitaria (Cattedra Teoria e Tecnica del Giornalismo televisivo nella scuola di specializzazione dell’Università di Tor Vergata). Ha ricoperto il ruolo di docente nel processo di digitalizzazione del TG1.

Nel 2017 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Lunavulcano”, per Lastaria Edizioni, candidato al Premio Strega 2018 e vincitore del Premio “Un libro per il cinema”

Nel settembre dello scorso anno è uscito in libreria il suo secondo romanzo, Fiori di mango, edito ancora una volta da Lastarìa Edizioni e candidato alla LXXV edizione del Premio Strega. Una narrazione che ci fa scoprire un’Africa tutta umana, un vero e proprio personaggio dall’anima aperta e il cuore affamato di storie; prime fra tutte quelle delle due protagoniste: Gloria, gli occhi azzurri come il cielo e il desiderio ardente di ritrovare le proprie radici; e Stella, la migliore amica dai tempi della scuola, il fisico sottile che nasconde una forza immensa, una forza che forse nemmeno lei riconosce a pieno. 

Attraverso una moltitudine di personaggi delineati nei minimi dettagli, Isabella Schiavone dà vita, non solo alla storia di un viaggio, ma anche e soprattutto ad una storia di crescita e guarigione sofferta. Insieme a Lorenzo, Amani, Nonna Edith capiamo qual è il vero significato dell’amicizia e della famiglia, nonché l’importanza che possono avere gli incontri inaspettati; quelli che accendono la mente e riavvicinano al cuore quel che si credeva ormai troppo lontano per essere raggiunto, o perfino capito.

Isabella Schiavone, lAfrica per lei non è solo un luogo di meraviglie, ma un luogo di scoperte, sofferenze e speranza; emozioni viscerali impossibili da ignorare. Questo non si evince unicamente dal suo romanzo, ma anche dalla sua ammirabile carriera giornalistica e umanitaria. Numerosi sono infatti i reportage e gli articoli che anche nel suo blog, Sgrunt!—Diario di una giornalista”, descrivono con passione quell’angolo “di cielo e terra dove tutto si ferma”, il Kenya. Come se non bastasse, lintero ricavato dei diritti del suo primo libro, Lunavulcano, è devoluto in beneficenza in Africa; fa volontariato presso gli orfanotrofi, sostiene una ONLUS e, negli anni, ha preso parte a moltissimi progetti umanitari. In molte di queste avventure, come lei ha raccontato, ha persino coinvolto le sue amicizie più care, facendo da traghettatrice”, un pocome Gloria, la protagonista del suo romanzo. Eppure c’è un momento nel suo libro in cui è Stella, avvolta dai colori e dalla realtà del villaggio natale di Amani, a provare qualcosa di tanto improvviso quanto spontaneo: il senso di appartenenza arcaico” di chi, pur non comprendendone davvero il motivo, si sente a casa. Stella si muove leggera fra gli sguardi e le persone, ascoltandone la lingua come se, in Africa, abitasse da sempre. Lei ha mai sentito un simile senso di appartenenza? Secondo lei cosa si cela dietro la struggente nostalgia —il Mal dAfrica”— che abbacina lanima di tutti coloro che si recano in quei luoghi?

Ho certamente provato quella nostalgia struggente definita “Mal d’Africa”, soprattutto i primi anni. Credo dipenda dalle scoperte che si possono fare se si ha occasione ed intenzione di viverla un po’ da dentro e non solo come turisti in cerca di relax e riposo. Alcune esperienze ci danno modo di conoscere meglio dei lati di noi stessi talvolta inespressi a causa di diversi codici della società in cui viviamo o, più banalmente, perché la quotidianità non ci consente di esternare tutta la nostra complessità e ricchezza che ci caratterizza. Entrare in contatto con realtà così diverse e lontane inevitabilmente ci avvicina ad una maggiore profondità, non solo di sentimenti, ma anche di comprensione del mondo. Come ci sentiamo fortunati, dopo aver soggiornato in un villaggio povero, a poter fare una doccia calda! Come apprezziamo tutto ciò che ci circonda e che diamo per scontato…!    
Il senso di appartenenza, anche, l’ho sperimentato. Una natura esplosiva, cuori di bambini palpitanti, ritmi più lenti… difficilmente non conquistano! L’Africa ci dà modo di recuperare una parte importante di noi.

Il dolciastro matoke cucinato dallaustera Dembe; lo speziato katchumbari di verdure, la delicatezza del wali wa nazi. Allinterno del suo romanzo il cibo funge da vero e proprio filo conduttore. Elelemento che unisce le persone e, allo stesso tempo, lo specchio delle emozioni più intime e profonde dei personaggi, delle loro vicende personali, del loro rapporto con il mondo; un rapporto non sempre facile, fatto di luci ed ombre, di lotte spesso nascoste. Il caso più significativo è quello di Stella, che, dietro il suo veganismo, nasconde unanoressia latente che le consuma il corpo da bambola di ceramica”.

Stella non ama mangiare e sembra provare una naturale diffidenza per il cibo eppure, non riesce a resistere al mango. Al frutto dall
aroma esotico e dal sapore voluttuoso che la ragazza mangia rigorosamente tagliato a quadrettoni, sembrano legarsi le sue sofferenze private; un dolore antico tanto quanto la terra in cui germoglia e figlio di unadolescenza difficile che, anche a distanza di anni, influenza ancora le sue relazioni e il suo rapporto con gli altri. Eppure mi chiedo, c’è un significato più profondo dietro questo semplice frutto? Cosa simboleggiano o chi sonoI fiori di mango” della sua storia?

Il mango rappresenta ciò che Stella non esprime di se stessa. Fuori è una bambola di porcellana, delicata, chiusa, un po’ altera, diffidente, a tratti snob. Dentro di lei arde la passione per la vita, la voluttuosità, un desiderio crescente di scoprire il mondo e se stessa. Il mango è il suo radicamento a ciò che ancora non riesce ad esprimere, almeno all’inizio del suo viaggio, ma che in qualche modo – e dopo varie esperienze anche estreme e drammatiche – uscirà fuori. I fiori simboleggiano la sua delicatezza d’animo, la leggiadria. L’armonia con cui si muove nel mondo. 

Tra i diversi luoghi collegati allinfanzia di Amani che Stella visita, c’è anche lorfanotrofio. Tra le sue mura scarne, la struttura accoglie bambini di tutte le età, gli occhi grandi spalancati sui visitatori, le magliette lise dal sole e dalla terra rossa. Non si tratta di immaginazione. In Kenya ci sono 2,4 milioni di minori fuori famiglia (come dimostrano i dati raccolti nel 2014 da AiBi), con ben 443mila orfani di entrambi i genitori a causa dellAIDS. Sono 8 milioni i bambini che vivono in situazioni di estrema povertà, con circa 200mila minori ospitati in istituti e centri di accoglienza. Di uno di questi bambini, Tipo, lei parla in un suo commovente articolo pubblicato su Sgrunt! —Ndthini, dove inizia il cielo”— il quale racconta le condizioni di difficoltà in cui versa un villaggio a 120 km da Nairobi.
Tipo non ha nemmeno un anno, ed è stato salvato dalle missionarie. Il suo corpicino è devastato da piaghe ora in via di guarigione eppure, ride spensierato, gioca, tende le manine per essere preso in braccio. È lo stesso bambino che ha ispirato l
incontro di Stella con il bimbo malato durante la sua prima visita allorfanotrofio; un incontro che mette in luce qualcosa di estremamente potente quanto difficile da insegnare: lempatia, la stessa che porta alla comunione e allabbattimento delle barriere. Stella non ha alcuna paura della malattia, prova solo affetto; un sentimento caldo come il sole africano, che le illumina il volto e gli occhi, irradiandosi allesterno come unaura, tanto da rendersi visibile persino agli occhi di Amani.

Secondo lei cosa si può fare per coltivare lo stesso tipo di empatia nel proprio cuore, anche se non si ha la possibilità di recarsi in Africa?
Come avvicinare di più la nostra realtà occidentale a quella così lontana eppure così vicina del continente che ha visto nascere l
umanità?

L’empatia si può praticare in molti modi. E non a caso uso il termine “praticare”. Esistono molte realtà che necessitano di aiuto ed attenzione intorno a noi: dai senzatetto alle persone povere, malate, ai margini. Penso agli anziani soli e a quanto farebbe loro bene un sorriso, un momento condiviso. Oppure, più semplicemente, il nostro vicino di casa. Non dobbiamo fare necessariamente lunghi viaggi per essere gentili e compassionevoli verso il prossimo, per interessarci a chi ci sta intorno, per contribuire a rendere il clima dei luoghi che viviamo (casa, famiglia, scuola, lavoro…) sereno e nutriente per noi e per gli altri. 

“Praticare” questo vuol dire allenarlo, ogni giorno, con perseveranza. Allenare la gentilezza, allenare la pace interiore, l’armonia con gli altri. E’ la palestra che dà più soddisfazioni e risultati. 

Tra i molteplici personaggi che animano la vicenda c’è n’è uno in particolare che, seppur non occupi un ruolo primario allinterno della storia, riesce ad attirare su di sé lattenzione del lettore a causa della sua complessa personalità. Si tratta di Melany, la ragazza con le labbra a canotto” con la quale Lorenzo, il cugino di Gloria, intrattiene una relazione occasionale. Melany viene classificata fin da subito come una ragazza superficiale e sempliciotta”. La sua istruzione non è elevata e Lorenzo, giornalista affermato e novizio della meditazione, non esita a rimarcarlo più volte, guardandola dallalto in basso con sardonica superiorità, spesso ridendo dei suoi modi di fare come dei suoi vestiti appariscenti. Eppure Melany non è affatto ciò che sembra e persino Lorenzo è costretto a riconoscerlo. Dietro lironia e i tacchi vertiginosi, la ragazza nasconde una spiazzante saggezza; il tipo di saggezza che si rivela allimprovviso, con un candore e una naturalezza tali da mettere a disagio anche i ben pensanti e presunti colti che sparlano di lei, spesso, fin troppo preoccupati della forma per prestare attenzione alla sostanza. Durante una conversazione —in realtà più simile a un monologo— con Lorenzo, sui precetti di gentilezza e amore verso il prossimo insegnati dal Buddhismo, Melany dice una cosa che mi ha colpito molto: Fammi capire, se vuoi perseverare con il Buddhismo e la gentilezza amorevole non dovresti almeno incominciare con il chiedere come stai, invece di parlare continuamente di te stesso?”. A volte siamo talmente concentrati su noi stessi e sui nostri problemi che perdiamo di vista gli altri e, presi da tutto ciò che vorremmo dire, dimentichiamo di prestare ascolto. Eppure tutti vorremmo essere ascoltati, capiti. Linteressamento, lempatia, per alcuni sono un sentimento spontaneo, per altri invece, provarla richiede un impegno costante; è una pratica complessa, da apprendere tramite la riflessione critica di sé e del rapporto con laltro. Ma cosa succede quando i rapporti con gli altri vengono minati dalle fondamenta?
In quest
ultimo anno, a causa della pandemia da Coronavirus, stiamo vivendo un momento molto difficile anche dal punto di vista relazionale; la lontananza dallaltro ci isola non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, rendendoci timorosi, talvolta persino indifferenti nei confronti delle altrui persone e problemi. Lei crede che lassenza di confronto diretto con laltro finirà per recarci un danno in futuro? Anche per quanto riguarda la scoperta e la conoscenza di sé? Come fare per evitarlo? 

Melany, nel suo folklore, è un personaggio vero, che bada al sodo, che non ha perso di vista quello che conta. Le labbra a canotto sono un vezzo, ma c’è molto altro in lei, basta fermarsi un attimo a vedere. Darsi tempo di andare oltre.  

Certamente il confronto con l’altro è necessario e fondamentale per tutti. Non siamo nati per vivere come eremiti, a meno che non scegliamo una vita contemplativa in solitudine, ma quello è un altro discorso! 

In attesa di poter tornare ad abbracciarci con serenità, credo sia importante scegliere attività che non ci facciano perdere di vista l’importanza dell’ascolto, della condivisione e della comprensione degli altri. 

Cerco di essere più pratica: si ama leggere? Bene, perché non iscriversi ad un gruppo di lettura per poi condividere emozioni e riflessioni? Si ama lo sport? Ormai quasi tutte le città o i quartieri hanno pagine social: in piccoli gruppi si possono organizzare – sempre in massima sicurezza – passeggiate, biciclettate, attività sportive aggregative. Siamo portati a pensare, soprattutto se giovani, che l’incontro con l’altro avvenga solo uscendo la sera. Non è così. Possiamo condividere con gli altri passioni, interessi, momenti della giornata. Magari approfittando di questo periodo per approfondire i propri interessi, farsi promotori di iniziative sane, costruire nuove passioni. 

E’ un periodo difficile e per molti doloroso. Tante persone hanno perso i propri cari senza neppure poterli salutare, molti hanno perduto il lavoro o sono in crisi economica, i ragazzi sono stati a lungo isolati e per alcuni sono nati problemi seri. Avvenimenti difficili da affrontare, da elaborare. Ci vuole tempo per attraversare il dolore e ricominciare. Per rimettersi in piedi.

Per chi non è stato colpito così duramente, però, la situazione attuale può risultare un’occasione: dipende da che punto osserviamo quello che ci capita e come decidiamo di utilizzarlo. Magari scopriamo un nuovo amico, un nuovo interesse, un nuovo amore… inventiamo un lavoro… ci iscriviamo ad un corso di scrittura, impariamo una lingua… la vita è un adattarsi continuo a ciò che ci capita. Ci vuole creatività.  

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