Intervista a l’Indispensabile

Nell’ultimo decennio il numero di giovani che nel mondo soffrono di depressione è cresciuto progressivamente. In Italia, ogni anno, circa 200 ragazzi/e si tolgono la vita. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani (15-29 anni). Ad accompagnare questo quadro psicologico preoccupante c’è poi un sentimento di disagio esistenziale e un rifiuto all’azione politica che riguarda moltissimi millennials. Tra di loro serpeggia un senso di sconfitta diffuso sempre più difficile da estirpare.

Abbiamo cercato di spiegare la natura di questi fenomeni e la loro connessione con l’attuale sistema socioeconomico insieme a Diego Cianfanelli e Luca Cimichella, membri del direttivo de L’Indispensabile, movimento culturale – formato da giovani tra i 21 e i 35 anni – che dal 2018 lavora per “un cambiamento radicale della politica, dell’economia, della cultura e della mentalità umana dominante”. Un movimento che si definisce rivoluzionario nella teoria e nella prassi e che intende smascherare le storture del paradigma “nichilistico neoliberale” proprie del nostro tempo.

Tra i capolavori della cultura dominante c’è quello di riuscire a convincere l’individuo che la sua insoddisfazione cronica, la mancanza di un senso e la solitudine che lo affliggono sono riconducibili esclusivamente alla sfera delle libere scelte. Secondo questo costrutto il disagio esistenziale che attanaglia sempre più ragazzi/e è quindi il frutto velenoso del loro fallimento individuale.

Uno degli obbiettivi dell’Indispensabile è proprio quello di sconfessare questo costrutto. Nel dicembre 2019, durante l’evento “S.O.S. – Una generazione indispensabile”, il presidente Gabriele Guzzi ha esortato la generazione dei millennial ad assumersi “la forza della propria insoddisfazione”, trasformandola “in urgenza di cambiamento” del loro “Io” e del sistema socioeconomico.

Ma come è possibile trovare questa forza? Quali sono i passaggi fondamentali per convertire la passività e la rassegnazione in una forza propulsiva di cambiamento?

Luca Cimichella:

Il primo elemento che può farci ritrovare questa forza è una presa di consapevolezza precisa: che non abbiamo altra scelta per la nostra sopravvivenza e per quella planetaria. Dobbiamo cioè prendere atto più seriamente delle condizioni storicamente estreme, per molti aspetti apocalittiche (questa crisi lo dimostra) in cui ci troviamo a vivere. Tutte le mezze vie, i compromessi, le false soluzioni stanno collassando una dopo l’altra. Questo è il primo passo, che implica ricerca continua, studio e pensiero.

In secondo luogo, è necessario eliminare una dopo l’altra tutte le fonti di distrazione che il potere ci impone. L’atto prioritario di ribellione è oggi quello di riconoscere la nostra alienazione, la configurazione distorta di noi stessi che alimenta il sistema, e che abita nella nostra dimensione psico-spirituale. Quindi iniziare un cammino di auto-conoscimento, di purificazione spirituale attraverso pratiche meditative adeguate.

La rivoluzione del XXI secolo è prima di tutto un atto creativo dello spirito, una presa di posizione da parte del nostro io, molto umile, molto gentile, ma anche molto risoluta e folle. O ci decidiamo a questo atto insurrezionale, oppure semplicemente andremo incontro ad una serie più o meno inarrestabile di catastrofi.”

Per voi la rivoluzione interiore diventa una tappa necessaria per affrontare la rivoluzione politica collettiva, dunque. Ma è difficile saper riconoscere la propria alienazione e passività e ancora più difficile è saperci parlare. E quando i dubbi e il malessere dovuti alla propria condizione affiorano, la cultura dominante riesce ad offuscarli con quelle che definite “fonti di distrazione”. Di cosa si tratta? Cos’è che frena ed inibisce una piena consapevolezza di sé e la conseguente spinta al cambiamento?

Diego Cianfanelli:

La distrazione è una forma di resistenza al cambiamento, una forza inerziale che ci impedisce di mettere in discussione il nostro stile di vita e di conseguenza questo mondo. A livello collettivo tanto più siamo chiamati a cambiare rotta, a superare il consumismo ed evitare l’autodistruzione tanto più si moltiplicano le distrazioni e le compensazioni con cui tentiamo invano di fuggire la realtà.

Sempre più persone percepiscono di vivere in uno stato di alienazione, di compiere azioni che non sentono del tutto proprie magari giustificando queste scelte perché imposte dal mondo in cui vivono. Per un autentico atto rivoluzionario credo sia necessaria una crisi personale che renda il soggetto risonante con il reale stato della nostra collettività. Noi viviamo un’era critica e quindi è del tutto fuori tempo agire facendo finta di essere sani.”

Le tue parole ci rimandano ad alcune strofe di una canzone di Gaber, “Far finta di essere sani”:

Liberi, sentirsi liberi

Forse per un attimo è possibile

Ma che senso ha se è cosciente in me

La misura della mia inutilità”

In una società che fa dell’inutile e del superfluo le sue divinità (e che bolla come sconfitti coloro che non si piegano a questi dei della sventura), chi diventa consapevole della propria inutilità forse un senso, invece, ce l’ha. Quindi ammettere e riconoscere la propria inadeguatezza rispetto a questo sistema socioeconomico è un atto rivoluzionario…

D. Cianfanelli:

Di fronte alle grandi sfide a cui siamo chiamati spesso siamo travolti da un profondo senso di impotenza. Ma non siamo solo questo. Il testo di Gaber ci fa comprendere, senza filtri, come al di sotto delle nostre maschere possa regnare un profondo senso di disperata impotenza.

Se ci convinciamo che al fondo di tutto esista solo questa dimensione allora non saremmo nient’altro che degli esseri insignificanti che vivono la propria vita in modo del tutto casuale, incapaci di cambiare un destino già scritto. Con questa fede ogni tentativo rivoluzionario non potrà che sfociare nel fallimento per venire poi riassorbito dal sistema consumistico che fa del suo motore proprio l’infinita sete di cose inutili e superflue. Se nulla ha senso allora tanto vale distrarsi quanto più possibile e fare della propria vita un passatempo.

Ma a noi è data la libertà di credere che aldilà del nulla di senso si celi una dimensione ancora più profonda in cui trovare il fine del nostro vivere. Una dimensione che trae la sua forza dallo sperimentare che abbandonandosi al nulla non si viene distrutti ma anzi si accede ad una dimensione di forza. È come un riconnettersi a quella dimensione di vita che permea tutto l’Universo. In definitiva, solo così siamo nel giusto stato d’animo per compiere la nostra rivoluzione contro un sistema del tutto votato all’autodistruzione.

Il nostro movimento ha un profondo radicamento in una dimensione spirituale in cui la libera coscienza regna al di sopra di ogni determinismo di questo mondo. Possiamo decidere di essere questo oppure degli esseri governati dal caso e dalla necessità. Noi compiamo ogni giorno da capo la nostra scelta e questo ci rende un movimento radicalmente rivoluzionario.”

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