La morte di Willy e il popolo dei grandi chiacchieroni

Al popolo, inteso sia come società civile che classe politica, non basta individuare un colpevole giuridico; occorre scovare qualcosa in più, indagare come giudici senza concorso, sentenziare in maniera insindacabile nel tribunale dei media.

Non è sufficiente, quindi, che i fratelli Bianchi e altri due ragazzi si siano macchiati di un delitto spregevole, abietto, futile. No. I magistrati del web cercano altro: fascismo, arti marziali, razzismo, delinquenza abituale in un luogo, Colleferro, che non è certo la peggiore periferia ai bordi di una grande città italiana.

La polemica a seguito del crimine efferato non è mancata. E ha abbracciato tutti i principali protagonisti della società italiana del XXI secolo: politici, influencer, artisti, intellettuali, destrorsi o sinistroidi con gli occhi parati.

Ciascuno, con modalità e toni diversi, ha detto la propria.

Così, in primis, è tornato alla luce il buon (si fa per dire) vecchio tema italiano, discussione e retaggio di quasi cent’anni di storia, che a quanto pare non hanno contribuito a migliorare granché la realtà: ovvero il fascismo.

Muore un giovane per bene, a detta di chi lo conosceva, e innocente? Si va a vedere subito di che colore avesse la pelle. Bianco ucciso da bianco? Omicidio come tanti. Bianco ucciso da nero? “Ecco, cara sinistra, le tue risorse!”. Nero ucciso da bianco? Razzismo, fascismo!

Lettrici e lettori, indubbiamente afflitti dalla vicenda, così non va. Questo modus narrandi avvelena il dibattito, divide in fazioni la collettività, inasprisce gli animi, restituisce indecenza a una storia gonfia di tristezza.

La politica c’entra, perché regola l’agire sociale degli uomini e a essa spetta un capillare controllo territoriale in tema sicurezza, tuttavia in certi casi non deve fare da padrona. Il protagonismo di certi rappresentanti delle istituzioni, almeno ora, deve essere messo da parte.

Dall’altro lato della medaglia, invece, stanno tutti i profili di spicco della sopraccitata società civile, particolarmente quella dell’era dei social. Tutti hanno parlato, nessuno si è tirato indietro, qualcuno, grazie al Cielo, si è limitato a esprimere il proprio cordoglio. Quasi che tacere sulla morte di Willy fosse sbagliato, che rispettare il dramma in silenzio fosse incoerente con un mondo, quello della rete, dove il rumore è assai più forte che in quello della realtà. Tanto che, al rumore, non bisogna desistere. Da Chiara Ferragni che ha paragonato l’Italia alla feccia fino a Massimo Giannini che ha proposto di chiudere le palestre dove si praticano arti marziali, la striscia dei commenti a sproposito è ricca.

Nel tram tram finora accennato, il quale, se vissuto quotidianamente, risulta molto più largo e prepotente, qualcuno ha sentito alcuna dichiarazione da parte dei genitori del giovane? Negativo, giacché il silenzio degli umili e degli afflitti (costoro per davvero) è più eloquente di qualsiasi parola.

Ecco, forse la politica e i media nazionali dovrebbero prendere esempio.

E imparare che una parola in più porta con sé un click o un applauso, ma una preghiera o una bocca chiusa, anziché aperta al conformismo dialettico, accresce l’onore e la dignità. Che in questo Paese, inflazionato di egocentrismo, valgono oro.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here