La sinistra, il malato politico dell’Occidente

A cura di Maria Prestifilippo e Filippo Flamini

L’ascesa del populismo in Occidente rappresenta oggi un fenomeno dilagante in diverse nazioni, dall’America di Trump alla Francia di Marine le Pen . Questi sono soltanto alcuni dei fenomeni diffusisi tra i vari paesi, attribuibili, in parte, alla quasi scomparsa della sinistra e più in generale, a quei partiti che si facevano garanti e portatori di vari interessi, quali i diritti dei lavoratori e delle minoranze. Il populismo del Novecento, tuttavia, era diverso da quello che ritroviamo ai giorni nostri. Si pensi, ad esempio, al Fronte dell’Uomo qualunque, subito dopo il secondo conflitto mondiale, movimento politico di corto respiro che non superò i due anni di vita. In quegli anni il popolo si sentiva truffato dalle banche, dai partiti, dal fascismo e dall’antifascismo e soprattutto c’era un’Italia profondamente arrabbiata appena uscita dalla guerra.

Gli slogan erano i medesimi con differenti contesti e differenti “mood”, diversi stati d’animo come affermato da Marco Revelli nel suo libro Populismo 2.0. Il punto centrale di questa epoca secondo Revelli consiste nel capire il perché i rappresentanti scelti oggi in Occidente non siano degli outsider ma gente che sta sulla vetta della piramide sociale, come Donald Trump, un magnate e non un “avvocato del popolo” o un uomo dedito alla causa popolare. Tutto questo avviene in un mondo profondamente diseguale, dove “secondo il rapporto Oxfam sono solo 8 le persone che possiedono le risorse di metà dell’umanità”. Tutto ciò sarebbe causato da una profonda crisi della democrazia rappresentativa, dove non vi è oggi nessun protagonista politico in grado di poter rappresentare in maniera organica ed egualitaria i cittadini, argomento questo totalmente assente nelle varie agende politiche. L’ascesa dei gruppi politici di destra è accompagnata quindi da una crisi sistematica delle compagini di sinistra nel Vecchio Continente. A venirci incontro in questo ragionamento i dati elettorali e dei flussi di voto. In Francia nel 2012 il Partito socialista di François Hollande era la prima forza con oltre il 27% dei consensi. Dopo l’esperienza di governo il Ps è crollato al 7% nelle ultime elezioni del 2016 dominate da Macron e Le Pen. In Germania lo storico Spd ha visto dimezzare i suo consensi dal 2002 a oggi: se Schröder in quell’anno venne riconfermato con quasi il 40%, nelle ultime elezioni del 2017 i socialdemocratici non sono andati oltre il 20,5%, in un declino senza fine. Stesso percorso per i socialisti spagnoli.

In Italia abbiamo assistito a importanti trasformazioni interne che hanno portato il Partito democratico, dopo alterne vicende, a raggiungere uno storico 40% alle europee del 2014. Era l’effetto del primo Renzi. Ma dopo la prova di governo il Pd si è ritrovato al 18% nelle recenti elezioni del 4 marzo. Unico trend inverso in Inghilterra. Qui il Partito laburista nel 2017 è quasi riuscito in una storica rimonta ai danni dei conservatori, i quali partivano con quasi 20 punti percentuali di vantaggio nei sondaggi. Anche qui però pesa il dopo referendum sull’uscita dall’Unione europea. Situazioni analoghe si possono registrare nei paesi limitrofi.
Una tendenza storica quindi si è saldata a una crisi di rappresentanza della sinistra.

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