La Sonnambula di Bellini al Teatro dell’Opera di Roma: sogniamo o siam desti?

Nei miei quasi dieci anni di frequentazione del Teatro Costanzi solo della Sonnambula di Bellini mi è capitato di assistere a due diverse regie: quella di Giorgio Barberio Corsetti nel 2018 e quella, in scena dall’11 al 17 aprile 2024, di Jean-Philippe Clarac e Olivier Deloeuil. Il carattere sperimentale degli allestimenti è senza dubbio un tratto che caratterizza la scena operistica romana, tratto che si fa sempre più marcato con il passare degli anni: se, infatti, la regia del 2018 era fondata sulla rappresentazione del mondo di Amina nelle misure sproporzionate di una casa di bambola, quella attuale rimuove del tutto l’elemento favolistico a favore di una surreale multimedialità.

L’inizio dell’opera è preceduto da un filmato di alcuni minuti, che ci mostra il vagabondare notturno della protagonista attraverso alcuni musei di Roma fino ad arrivare all’ Hotel Quirinale, progettato dallo stesso architetto del Teatro Costanzi e luogo di soggiorno di molti miti operistici, fra cui Maria Callas. Ed è proprio nella stanza – museo della Diva che la controfigura romana di Amina cade in un sonno profondo (complici le pasticche ingoiate insieme al liquore) ma al contempo agitato dalle ansie legate al matrimonio che avverrà il giorno dopo. I registi hanno dunque scelto di trasformare il libretto di Felice Romani in un incubo frutto, oltre che di una mescolanza di psicofarmaci e superalcolici, delle incertezze di una giovane sposa relativamente ai dettagli delle nozze e alla figura del futuro marito.

Quando il sipario si alza sulla messinscena vera e propria dell’opera di Bellini, svela un ambiente moderno: una vasta sala, con al centro un grande tavolo e alle pareti alcuni schermi su cui scorrono filmati e foto in cui l’attrice protagonista della cornice metanarrativa viene ritratta accanto alle opere d’arte e ai quadri di cui risulta la riproduzione vivente. Questo aspetto della regia è forse il più convincente perché all’eleganza estetica unisce la chiarezza interpretativa. Ad essere rappresentata, infatti – spiegano i due registi in un’intervista- è il desiderio di costruire una continuità fra passato e presente e in particolare tra il patrimonio artistico di Roma e la sua moderna fruizione, che deve essere consapevole e sempre adattata alle esigenze del pubblico attuale, in modo che non ci si addormenti sugli allori degli splendori passati ma anzi si cerchino sempre nuove strade per farli rivivere nel nostro presente.

Intorno al centro nevralgico del tavolo, concreto simbolo del banchetto di nozze, si raduna una piccola folla di persone vestite a festa, con abiti contemporanei ma di un gusto un po’ paesano e antiquato, a voler ricordare anche visivamente che il matrimonio si sta per svolgere in una realtà provinciale. A causa dell’ambientazione asettica, la vicenda di Amina potrebbe svolgersi in qualsiasi parte del mondo, ma a ricordarci che siamo in Svizzera c’è una grande bandiera e gli abiti tradizionali indossati dalla protagonista e da alcune sue amiche all’inizio dell’opera. 

La regia cerca di rendere più mossa e varia un’opera dalla trama esile introducendovi tante – forse troppe – piccole idee, alcune indovinate, altre meno. L’intento è chiaramente quello di eliminare l’atmosfera da idillio del villaggio immerso tra le montagne (che può risultare stucchevole alla sensibilità moderna), ma il risultato è che l’opera non appare alleggerita bensì appesantita dal punto di vista scenografico, senza in cambio regalare al pubblico il gusto del piacere visivo che, nell’opera lirica, dovrebbe essere sullo stesso piano di quello musicale. Quest’ultimo, per nostra fortuna, ha raggiunto vette altissime.

A cominciare da Francesco Lanzillotta, dalla direzione rispettosa e sempre tesa a non spezzare mai il miracoloso equilibrio musicale che Bellini costruisce fra la voce e l’orchestra, grazie a una grande sensibilità per l’agogica e per quel principio di sottrazione che abbiamo visto aver fallito dal punto di vista registico, ma che sicuramente è uscito vittorioso dalla prova musicale.

Risulta molto incisivo e ben sincronizzato il coro guidato da Ciro Visco, sia vocalmente che per quanto riguarda la presenza e i movimenti sul palcoscenico.

Lisette Oropesa, al debutto nel ruolo, canta e interpreta il ruolo di Amina sfoggiando una tecnica sopraffina e una grande sensibilità interpretativa: dagli acuti alle agilità, dall’espressione del viso al modo di porgere la parola scenica, tutto risulta collocato al posto giusto. Nonostante la frammentarietà della regia, l’Oropesa funge da polo magnetico attorno al quale convergono, ammirati, i suoi spettatori. Peccato che il pubblico che ha assistito alla rappresentazione di domenica 14 aprile – quella a cui si fa riferimento in questa recensione- abbia potuto godere della sua performance solo per il primo atto, dal momento che un’improvvisa indisposizione ha reso necessaria la sostituzione con il soprano Ruth Iniesta, che si è comunque fatta onore nella difficile prova di confronto con la sua collega. 

John Osborn, fatta eccezione che per una o due défaillance rispetto al testo del libretto, si conferma il grande tenore che è, regalandoci molte soddisfazioni musicali in un ruolo, quello di Elvino, piuttosto difficile da sostenere e reso ancor più oneroso dal continuo confronto con l’interprete di Amina.

Il baritono Roberto Tagliavini tratteggia splendidamente il ruolo del Conte Rodolfo grazie a una voce sontuosa, che si fa sentire pienamente da tutto il teatro, arricchita da un timbro molto piacevole e da una dizione e un fraseggio magistrali. A rendere completa la credibilità del personaggio, una presenza scenica molto disinvolta.

Il soprano Francesca Benitez risulta all’altezza del ruolo di Lisa, sia dal punto di vista vocale che fisico, il primo reso complesso da due arie molto difficili che insistono sul registro acuto, il secondo inutilmente complicato dalla scelta registica di affidarle movimenti scenici d’agilità con l’aggravante di tacchi molto alti che le stavano quasi causando una caduta. 

Monica Bacelli nei panni della madre, Mattia Rossi in quelli di Alessio e Giordano Massaro in quelli del notaro completano un cast di livello ottimo e perfettamente amalgamato.

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