L’amore non esiste, ma esistiamo noi e il Covid

Ai tempi del Covid l’amore non esiste, è un cliché di situazioni tra due che non son buoni ad annusarsi come bestie finché il muro di parole che hanno eretto resterà ancora fra loro a rovinare tutto. Ciò che esiste è un dialogo pregno di durezza e sconforto, tra individui, gruppi, classi, tra governo e critici manifestanti: uno scambio di opinioni per certi versi sensato, incapace tuttavia di sostare tra i confini della civiltà, rimpiazzata regolarmente dalla violenza e dal rumore di una vetrina in frantumi.

L’amore non esiste, ma esistiamo noi e il Covid. Lo testimoniano la pressione dilagante che attanaglia le terapie intensive, i ricoveri giornalieri, la catena del contagio che non accenna a spezzarsi. Le cifre sono allarmanti, al contrario di quanto affermino in modo obiettivamente stupido gli scettici: “La seconda ondata non ci sarà”, sbraitava veemente buona parte di loro. La seconda ondata c’è, ci siamo dentro, la stiamo vivendo sulla nostra pelle, intenta a condurre il Paese sull’orlo del baratro e di una crisi di nervi.

Eppure i numeri da soli non riescono a spiegare quell’amore, ancora lui, che (stavolta) esiste ma si è perduto malinconicamente nei meandri della disgrazia, quell’amore di un nonno costretto a lasciare anzitempo figli e nipoti, rappresentante emblematico di una categoria abbandonata a se stessa: gli anziani, trattati come l’ultima ruota del carro, infelicemente ritenuti “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”: nessuno pensa agli anziani, nessuno, simboli di una generazione prossima alla cancellazione.

È la prova che l’amore non esiste, è un ingorgo della mente di domande mal riposte e di risposte non convinte: le stesse di chi prova a snocciolare incautamente dati, previsioni e proposte seguendo una logica partitica, ragionando in prospettiva elettorale o snaturando – fortunatamente in poche circostanze – la mission del comparto sanitario, destabilizzato dallo stress costante e dall’egoismo anteposto alla salvaguardia della collettività.

Ed è così che quel po’ d’amore che esiste – che sopravvive – si chiude a riccio, vestendo la corazza di un assetto societario in conflitto d’interesse che pone in contrasto libertà quotidiane ed uno strano istinto di autoconservazione a tinte avare, opache sfere di cristallo dentro le quali ognuno è intento a tirar l’acqua al proprio mulino a discapito del prossimo, nella maggior parte dei casi un cittadino esemplare.

L’amore, o per meglio dire un’insana passione, non risponde ai più banali meccanismi tra le forze e a quei pochi punti di contatto con la razionalità, tanto da rendere una fantasiosa dittatura – ideata dalla mente di chi, sprovvisto di una semplice mascherina, soffia sul fuoco di una crisi sociale – un incosciente riflesso negativo dello Stato: uno Stato schieratosi doverosamente al fianco dei lavoratori, purché i medesimi rappresentino il volto pulito dell’onestà.

Non esiste fare i conti, accontentarsi piano piano, per poi elargire migliaia di euro a chi, sin dall’epoca pre-Covid, ha sempre ritenuto la fattura un’optional: sarebbe un atto irrispettoso nei confronti di coloro che mantengono a galla il Paese con il proprio puntuale contributo economico, che si tratti di statali o autonomi. Il chiagnifottismo, a differenza dell’amore, esiste ed è un fenomeno irritante tanto quanto l’attuazione di scelte talvolta prive di senso.

E allora sì, l’amore non esiste, è l’effetto prorompente di dottrine moraliste incuranti della gente, ammaliata da chi predica il bene ma tende, sovente, ad estraniarsi dal contesto pandemico, sentendosi forte, sciaguratamente immune, quasi invincibile e al contempo bollando le sorti come ineluttabili, delegando il giudizio ad entità superiori, ignare dell’esistenza di chi rifiuta la religiosa accettazione della fine… e del fatto che tutti, ma proprio tutti i teatri dovrebbero essere formalmente chiusi al pubblico.

L’amore, se poi esiste, è quel concetto di rispetto dell’io e dell’altro, che in futuro permetterà a due innamorati di rivedersi, di riabbracciarsi, di baciarsi nuovamente. È questione di tempo e fragile pazienza poiché, come disse un vecchio saggio “quell’amore che era una certezza s’è assopito con l’ultima carezza, ha piegato pian piano le sue foglie, rinunciando, per ora, alle sue voglie. L’anima mia per questo s’è ammalata, non sogna più e resta addormentata. Prima che il vuoto tutti ci divori, che venga, venga presto il tempo in cui ci si innamori.”

Nel mentre attendiamo fiduciosi altri sintomatici sinonimi del bene.

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