Sabato, nella romana piazza del Popolo, si è riunito il Centrodestra per chiedere elezioni anticipate e sferrare un attacco al governo. È stata una manifestazione sobria, molto diversa da quella del 2 giugno, contestatissima a causa del mancato rispetto delle disposizioni contro il coronavirus.
All’apparenza la coalizione si è presentata unita, con obiettivi comuni e strategie a lungo termine. In verità, però, l’animosità tra i partiti non si è placata; anzi, il dibattito sul Mes e le indecisioni di Conte hanno evidenziato ancor più le differenze fra i membri dell’alleanza. Passata l’estate (e la legge elettorale), l’autunno sarà un giro di boa per il Centrodestra, destinato a implodere, governare o persistere nell’opposizione.
Un elemento significativo, che a fine settembre segnerà il confine tra i partiti, sarà l’esito delle elezioni regionali. Non tanto per la sussistenza del governo, il quale, se sopravviverà, sarà per inerzia e non certo per meriti, bensì per la leadership e la forza del Centrodestra. La Lega è lo specchio (in percentuale) del gradimento del suo leader, Matteo Salvini, che è in discesa da mesi. A oggi, tuttavia, egli sarebbe comunque il capo della coalizione, perché i dati lo danno primeggiante, intorno al 25%. È interessante, parimenti, l’ascesa di Fratelli d’Italia, al di sotto dell’alleato di circa 10 punti, ma con un trend opposto, ovvero in rapida salita. Ciò premesso, è difficile immaginare un sorpasso di Giorgia Meloni da oggi a settembre: recuperare il dieci per cento in due mesi sarebbe un’impresa eroica. Eppure, se la tendenza restasse stabile, il divario tra i due partiti diminuirebbe abbastanza già in vista delle elezioni regionali. Una vittoria in alcune delle regioni al voto, come in Veneto o in Liguria dove l’esito sembra pressoché scontato, provocherebbe un contraccolpo al governo, che dividerebbe ulteriormente l’opposizione. Cosa succederebbe se, in prossimità di una crisi dell’esecutivo, il Centrodestra facesse pressione massima per abbattere il castello di sabbia di Conte? Forse la palla tornerebbe, per la terza volta nell’arco della legislatura, nelle mani del Capo dello Stato, in tempi di recessione estrema e pandemia. Lo scenario, senza finzioni inutili, sarebbe drammatico.
Il colpo di scena, con sorpresa rispetto al calo subìto negli ultimi anni, arriverebbe da Forza Italia. Il partito di Berlusconi, alle prese con una rivincita giudiziaria tuttora magra, sarebbe l’ago della bilancia sia della coalizione sia della sussistenza dell’esecutivo. In primis, la posizione sul Mes, quando si deciderà, sarà determinante. Infatti, se il premier cederà alle volontà del Pd e accetterà il Fondo, oltre a essere vessato dai “suoi” 5 Stelle, si avvicinerà alle posizioni del Cavaliere, che da sempre è favorevole al prestito, a differenza degli alleati. Inoltre, Orlando (Pd) ha sostenuto che “il dialogo con Forza Italia va coltivato con cura”; tali affermazioni, nate a seguito di una “sparata” azzurra in tema di appoggio al governo, sono state smorzate da Berlusconi. Resta aperta, però, la porta per un sostegno alla maggioranza, qualora necessario. Quanto scritto, se fosse confermato dalla realtà dei fatti, metterebbe in difficoltà il Centrodestra: senza i (pochi ma buoni) voti di Forza Italia, Salvini e Meloni non godono della maggioranza atta a governare. Perciò dovranno tenersi stretto il Cav., il quale è consapevole che ogni mossa è decisiva, tanto per la ripresa dei suoi dopo il crollo elettorale, quanto per una sua riabilitazione politica, più vendicativa che fattuale, a onor del vero.
L’autunno del Centrodestra sarà una stagione di volta, in ballo c’è la possibilità dell’urna, in gioco c’è il destino dei leader. La natura in autunno si spoglia, non per rinascere, ma per morire. Chissà se la coalizione saprà innovarsi, far cadere le foglie secche e prepararsi a fronteggiare la durezza dei tempi.
I segnali, finora, non incoraggiano neppure i più pavidi.