Lazarus, l’ultimo atto di David Bowie

«Il miracolo che ha sempre fatto David Bowie è quello di riuscire a sprigionare una grandissima quantità di energia dalla sua musica. Un’energia che è una sorta di liberazione, di gioia. Questo è il grande dono che ci ha lasciato Bowie e che noi tutti in teatro ritroviamo sul palcoscenico». Una testimonianza preziosa quella che Valter Malosti, insieme a Manuel Agnelli, racconta a proposito di Lazarus, l’adattamento teatrale dell’opera rock di David Bowie ed Enda Walsh che il regista e l’attore hanno presentato in prima nazionale nel marzo del 2023 con l’ERT / Teatro Nazionale e che torna nuovamente dal 5 al 15 giugno al Teatro Argentina di Roma.

Com’è nato il progetto di Lazarus?

Malosti: Io sono sempre stato un fan di David Bowie. Insieme a Carmelo Bene e Demetrio Stratos per me formavano una sorta di trittico. Bowie aveva un forte legame con il teatro musicale, aveva già tentato di realizzare un musical. Nel corso della sua carriera ha avuto modo di collaborare con Lindsay Kemp in occasione dei concerti legati a Ziggy Stardust e che fu per lui un maestro. Nel 2015 lessi su un trafiletto di giornale che Bowie avrebbe messo in scena una nuova opera insieme a Enda Walsh, che è un carissimo amico. Da lì mi sono mosso per portare questa opera anche in Italia.

Da lì è nato il rapporto con Manuel Agnelli, che interpreta il protagonista. Come si è approcciato a questo ruolo?

Agnelli: All’inizio ero intimorito, non avevo mai fatto teatro nella mia vita. La musica di Bowie è un pilastro della mia formazione. Non solo musicale, ma anche affettiva. È stata la colonna sonore della mia adolescenza, dei miei viaggi in Europa. Il legame molto forte che ho con le sue canzoni mi ha dato sicurezza. Studiando la parte ho scoperto che questo spettacolo mi serviva, era necessario. È il racconto di un uomo, un alieno, ricco di metafore che riguardano tutti noi: si affrontano la vita e la morte, il tema della lontananza, dell’abbandono, dell’amore. È una sorta di autoanalisi: non sono solamente entrato nel personaggio, ma Newton è diventato una parte di me.

Doversi confrontare con un ruolo teatrale ha influenzato in qualche modo il tuo approccio artistico?

Agnelli: Non ho seguito una scuola di recitazione durante la preparazione dello spettacolo, sarebbe stato sciocco. Né abbiamo cercato di imitare Bowie. L’intera opera mette in risalto questa componente emotiva molto forte e Valter mi ha aiutato molto ad interpretare questo ruolo, individuando quegli elementi caratteriali simili tra me e il mio personaggio. Non avrei potuto recitare questo ruolo a 20 anni, perché non avrei avuto il bagaglio di esperienze che mi permette di immedesimarsi così naturalmente in questo ruolo.

A due anni dal debutto, nel marzo del 2023, sente che lo spettacolo si sia evoluto in qualche modo?

Malosti: La mia concezione di teatro è un lavoro che fonde diverse arti: in questo spettacolo, infatti, ci sono la danza, l’arte visiva e, naturalmente, la musica, che per me rimane un pilastro fondamentale della mia visione teatrale. Trovo sia un bellissimo valore aggiunto vedere attori che danzano e cantanti che recitano. In questi due anni, sia lo spettacolo che gli artisti sono cresciuti in modo significativo. Tutto si è sedimentato e maturato, portando a zone dello spettacolo completamente nuove, inclusi gli arrangiamenti di brani iconici come ‘Changes’ e ‘Life on Mars’. Anche il cast si è evoluto e ha contribuito a questa trasformazione.

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