Le elezioni presidenziali turche viste dai Balcani

La Turchia europea vota Kılıçdaroğlu…

Nel ballottaggio del 28 maggio il presidente uscente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan si è riconfermato nella carica battendo il rivale Kemal Kılıçdaroğlu. Delle 81 province nelle quali è amministrativamente suddiviso il paese eurasiatico si trovano all’interno della Penisola Balcanica 5 (Edirne, Kırklareli, Tekirdağ, la maggior parte di quella di Istanbul e parte di quella di Çanakkale), il voto delle quali ha premiato in maggioranza il candidato perdente. 

La rielezione di Erdoğan va considerata nel solco delle sue politiche proiettate alla valorizzazione della Turchia dell’entroterra, in maggioranza conservatrice e sunnita. Arrivato al potere (2002), il partito AKP del presidente mantenne una rotta di riforme finanziarie concordate con il Fondo Monetario Internazionale dall’ex-ministro dell’Economia Kemal Derviş, le quali – abbinate a facilitazioni nella concessione del credito e aumento di investimenti diretti esteri e nell’industria – spinsero l’economia verso una crescita forte alla quale Erdoğan rimane associato, pur sperimentando attualmente il paese una altissima inflazione. Nello stesso tempo la ex-periferia religiosa e tradizionalista è stata inserita nei meccanismi di gestione del potere.

… ma nei Balcani si congratula e si analizza Erdoğan

Hanno celebrato la vittoria di Erdoğan turchi residenti in varie città dei paesi balcanici (Sarajevo in Bosnia Erzegovina, Novi Pazar in Serbia, Prizren in Kosovo tra le altre) mentre i leader degli stati della Penisola trasmettevano gli auguri via social. Congratulazioni sono arrivate anche dalle alte cariche dell’Albania, dove alla vigilia del primo turno elettorale turco il premier Edi Rama aveva lanciato un messaggio nel quale esprimeva “massima considerazione” per Erdoğan. La significatività della mossa di Rama consisteva non solo in quanto ribadiva il valore dato da Tirana al partenariato con la Turchia (il quale ha la principale diramazione nell’accordo di cooperazione militare raggiunto nel 2019) ma anche perché il Partito Socialista Europeo (del quale sono membri il Partito Socialista albanese del capo dell’esecutivo albanese e il CHP del candidato sconfitto) sosteneva ufficialmente Kılıçdaroğlu. Alla vigilia del voto il capo di stato turco aveva incassato anche il sostegno di Bakir Izetbegović, presidente del Partito d’Azione Democratica (SDA) della Bosnia Erzegovina. 

Le elezioni turche hanno costituito un oggetto d’analisi dei media e ambienti accademici nei Balcani. In Albania l’accademico Dritan Hoti definisce il nazionalismo religioso quale piattaforma ideologica capace d’attrarre la maggioranza dell’elettorato turco, aggiungendo che l’Occidente sarà obbligato ad essere ricettivo alla postura assertiva di Ankara nelle relazioni internazionali. Sul quotidiano greco “Ekathimerini” l’esperto di politica estera Kemal Kirişci ha commentato: “Dovremmo ammettere il fatto di avere a che fare con una Turchia più nazionalista, più conservatrice, più introversa, più transazionale nella sua relazione con l’Occidente ed economicamente più modesta”. La vittoria di Erdoğan è stata definita “indiscussa e indiscutibile” dal ricercatore del think tank ateniese ELIAMEP Giorgos Tsogopoulos.

In Grecia le congratulazioni ad Erdoğan sono state formalizzate in una lettera inviatali dal primo ministro Ioannis Sarmas. Kyriakos Mitsotakis, ex-capo dell’esecutivo e leader del partito Nuova Democrazia, si è augurato che Ankara riconsiderì più moderatamente la postura verso l’Occidente in generale e la Grecia in particolare. Inasprite nel 1974 dall’invasione turca del Cipro Nord (dove si è costituito uno stato riconosciuto solo dalla Turchia all’interno di un isola mediterranea dove la maggioranza della popolazione è grecofona), le relazioni tra i due paesi vicini sono complicate dalle richieste di Ankara di demilitarizzazione di alcune isole greche nel mar Egeo e dalla recente retorica antiellenica di Erdoğan, fattori che spingono Atene a rafforzare uno stretto partenariato militare con USA e Francia.

Una porta aperta per l’influenza 

Dopo l’insediamento al governo in politica estera l’AKP si intestò le idee proiettate a dotare il paese eurasiatico di “profondità strategica”, espresse dall’accademico Ahmet Davutoğlu per portarla ad avere un ruolo guida nei Balcani, Vicino Oriente e Nord Africa, un tempo aree parte dell’Impero Ottomano. La dottrina prefiggeva il rafforzamento delle comunità musulmani locali ed è stata implementata tramite la crescita di rapporti non solo culturali e religiosi ma anche politici ed economici con tutti i paesi dell’area occidentale della Penisola (Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia del Nord). L’interscambio commerciale è in aumento, segnando nel 2021 la cifra dell’export turco verso i 6 paesi 3.96 miliardi d’euro e l’import 685.4 milioni. Per la Turchia i Balcani rappresentano un Europa amica, essendo la via d’accesso indispensabile verso i mercati dell’Unione Europea e un’area di penetrazione culturale e interazione militare (tramite la vendita concordata o discussa di droni Bayraktar a Romania, Serbia e Albania) dove – Grecia a parte – la sua influenza non è contrastata dalla maggioranza degli attori locali.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here