Stazioni di polizia cinesi all’estero. A cosa servono realmente? Qual è il vero disegno della Cina?

La Cina ha sparso per il mondo almeno un centinaio di stazioni di polizia per “aiutare i cinesi all’estero”. Il sospetto è che dietro ci sia un progetto che miri a fare della Cina uno Stato con una presenza tangibile anche al di fuori dei propri confini nazionali.

24 settembre 2015, L’Aia, Paesi Bassi.

Quinta conferenza dei capi delle polizie dei Paesi dell’Unione Europea. Per l’Italia partecipano Antonino Cufalo, vicedirettore generale della pubblica sicurezza e Alessandro Panza, capo della Polizia. Un fattore inusuale di questa conferenza è la partecipazione di una persona che non avrebbe dovuto avere alcun tipo di interesse a prendervi parte: Liao Jinrong, direttore generale del dipartimento per la cooperazione internazionale del Ministero della pubblica sicurezza cinese. In seguito alla conferenza, Italia e Cina firmano un memorandum d’intesa per l’esecuzione di pattugliamenti congiunti in aree di interesse turistico. Sostanzialmente, poliziotti italiani e cinesi potranno lavorare insieme per assistere i propri connazionali e prevenire reati di criminalità. Questi pattugliamenti saranno eseguiti in maniera regolare dal 2016 al 2019. Cesseranno per via della pandemia. 

Qualche mese fa, un’inchiesta portata avanti da Safeguard Defenders, una ONG spagnola, ha parlato di 102 stazioni di polizia d’oltreoceano cinese, e 11 di queste si troverebbero in Italia, Paese ad “ospitarne” di più al mondo. Le stazioni si troverebbero a Roma, Milano, Bolzano, Venezia, Firenze, Prato e Sicilia. I loro uffici, almeno formalmente, dovrebbero occuparsi di rinnovo di patenti, passaporti e altri tipi di documenti. Queste stazioni di polizia non sarebbero attive solo per i documenti. Infatti, tali attività farebbero parte di un’operazione portata avanti dalla Cina di nome Fox Hunt, con l’obiettivo di spiare tramite suoi agenti i dissidenti politici e costringerli a rientrare.

Di solito le fasi per “convincere” i dissidenti all’estero a rientrare in Cina sarebbero tre. La prima riguarda le famiglie rimaste in patria. La polizia infatti va dai loro parenti e li obbliga a convincere il familiare a tornare, se non vogliono collaborare vengono intimiditi con arresti o fermi. Se la prima fase non dovesse funzionare si passa alla seconda. In questa fase vengono costituite delle squadre di emissari che partono dalla Cina, solitamente col visto turistico, e si dirigono dove risiede il dissidente. Lì fanno domande ai loro connazionali per trovarlo, un volta trovato iniziano ad intimidirlo. La terza fase è applicata soltanto nei casi più estremi. In questa fase vengono rapiti obiettivi all’estero e fatti rientrare clandestinamente in Cina. Questi rapimenti si sono verificati soprattutto in Paesi autoritari e con i quali la Cina intrattiene ottimi rapporti politici o ha una grande influenza economica. 

Grazie a queste operazioni, in poco più di un anno, dall’aprile 2021 al luglio 2022, ci sono stati 230.000 rimpatri verso la Cina da tutto il mondo. 

Alcuni Paesi però si sarebbero mossi con convinzione proprio per smantellare le “stazioni di polizia” e arrestare i membri di Fox Hunt sui loro territori. In Irlanda, infatti, il Governo ha chiesto e ottenuto la chiusura della stazione di polizia illegale a Dublino dopo che un rapporto aveva messo in luce le pressioni extraterritoriali della Cina. Il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, invece, ha reso noto un report sull’arresto e processo di otto persone di nazionalità cinese che erano legate all’operazione Fox Hunt. Anche in Italia alcune stazioni di polizia sono state chiuse, come ad esempio l’Associazione culturale della comunità cinese di Fujian, in via Pistoiese, nella città di Prato in Toscana, che ospita la più grande comunità cinese nel nostro Paese, seconda soltanto alla comunità cinese di Milano. Altre invece, come le stazioni di Milano e Roma, sono ancora operative e vengono considerate da Pechino come dei progetti pilota, utilizzate come un banco di prova per monitorare la popolazione cinese all’estero.

La politica stessa si è occupata di questo aspetto, dopo l’inchiesta aperta da Safeguard Defenders. Il Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, ha infatti affermato che l’Italia ha aperto un’inchiesta sulle cosiddette stazioni di polizia all’interno del Paese e che non sembrano avere alcun tipo di autorizzazione. “Stiamo verificando: non escludiamo sanzioni in caso di irregolarità”. 

Pechino da parte sua, tramite il suo ambasciatore a Washington, ha replicato che le stazioni sono dei centri “gestiti da volontari” che hanno la semplice funzione di assistere i cittadini cinesi all’estero. Una risposta davvero poco soddisfacente visti i fatti che sono emersi riguardo a Fox Hunt e le stazioni di polizia in molti Paesi del mondo di cui, è bene ricordarlo, 11 di queste si trovano in Italia. 

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