L’Italia dei gilet arancioni

Nel fine settimana, le piazze italiane si sono colorate di vesti arancioni, senza maniche e senza mezze misure (di sicurezza). I “gilet arancioni” hanno riempito le principali città della penisola, da Milano a Palermo, per far sentire la propria voce contro i provvedimenti presi a seguito dell’emergenza da coronavirus. In testa al movimento c’è Antonio Pappalardo, che ha animato una folla radunata al suo cospetto, senza distanze di sicurezza né dispositivi di protezione. Una brutta copia dei cugini francesi, brutalmente violenti, perlomeno originali.

Gli smanicati hanno gridato “stop alle mascherine”, “i vaccini sono pericolosi”, “fermiamo la dittatura della sanità”, con l’idea che il Covid-19 sia solo un disegno politico – e le 30.000 morti? “Il virus non esiste, per questo non mettiamo le mascherine” è il riassunto della loro protesta. In barba alla scienza e al merito, senza i quali saremmo ancora ancorati alla media di 600 morti al dì. Inoltre, essi sono ricomparsi (si fecero conoscere nel 2019 perché chiesero aiuti per gli ovicoltori pugliesi colpiti dalla Xylella) per chiedere il ritorno alla lira e un governo votato dal popolo. Per quanto riguarda la prima, forse non capiscono che, in tempi simili, non solo è di fatto impossibile promuovere un’Italexit, ma è anche dannoso abbandonare la moneta unica. Invece, per ciò che concerne la seconda idea, qualcuno spieghi ai “pappalardi” che nell’urna non si sceglie il governo.

A ogni modo, non si possono nutrire aspettative auliche, da un gruppo guidato da colui che definì “usurpatore” il Capo di Stato, Mattarella, e fu portavoce dei Forconi.

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, si è allarmato per l’assembramento fuori controllo e ha scritto (Twitter) che si è trattato di “un atto di irresponsabilità verso una città come Milano che così faticosamente sta cercando di uscire dalla difficile situazione in cui si trova”. Ben venga l’indignazione del primo cittadino, ma sorge un interrogativo: chi ha permesso a costoro di manifestare? Dietro l’angolo c’è il timore dello scaricabarile tra Prefettura e Comune, che potrebbe avere messo a rischio l’incolumità della gente. Tra l’altro, torna in mente la contestazione dei ristoratori milanesi di qualche settimana fa, quando l’Italia era ancora nella fase 1.5. In quel caso, molti imprenditori danneggiati dal lockdown si erano riuniti a distanza di sicurezza, giorno e notte, per protestare. Furono multati, nonostante la serietà della richiesta (in confronto a quella degli smanicati) e malgrado lo sciopero della fame di alcuni di loro.

I gilet arancioni rappresentano, oggigiorno, la massa che pretende, senza sapere né capire. E ciò è oltremodo pericoloso, tanto per l’incolumità collettiva in tempi pandemici, quanto per la coscienza comune, già danneggiata dal virus e al limite della comprensione e sopportazione. Comunque, anch’essi hanno avuto il proprio momento di gloria. Torneranno, poi, nei sotterranei della politica e della società, senza lasciare grandi ricordi. Il colore, anche il più acceso, sbiadisce presto.

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