Michelangelo Antonioni: la Trilogia dell’incomunicabilità

Michelangelo Antonioni è un regista che nei suoi film incarna la condizione umana degli anni Sessanta ed è noto per la “trilogia dell’incomunicabilità” costituita da L’avventura, L’eclisse e La notte. Mette in scena personaggi isolati, a metà tra libertà e alienazioni, aprendo una riflessione anche sull’uomo moderno e sulla sua solitudine.

Martin Scorsese lo definisce come «un poeta del nostro mondo che cambia, un pittore del labirinto delle nostre emozioni, un architetto della nostra ambigua realtà»

È un poeta che, attraverso la sua scrittura cinematografica, esprime tutta la sensibilità nascosta tra le immagini della pellicola filmica..  «Esiste il cinema – afferma Antonioni – che racchiude in sé l’esperienza di tutte le altre arti e se ne serve come crede, liberamente. Credo sia importante oggigiorno che il cinema si rivolga a questa forma interna, verso questi modi assolutamente liberi, […] così come libera è la pittura che arriva all’astrazione».

Le sue parole, le sue idee e il suo modo di fare cinema risentono molto della passione e dell’amore verso qualsiasi forma d’arte: «Io sono un amante della pittura. È una delle arti che, con l’architettura, vengono per me subito dopo il cinema, come scala di interessi. […] È una cosa che mi appassiona, che mi piace. Quindi, io credo che tutta questa sensibilità io l’abbia un po’ assimilata». 

Apprende, dunque, le citazioni e le suggestioni captate dal mondo artistico e le integra nel proprio mondo interiore, in modo da sottolineare il pathos delle sue storie, dei suoi personaggi che vivono e si muovono nel silenzio e nello spazio deserto. 

L’Avventura, ad esempio, ha come protagonisti Sandro e Claudia – interpretata da Monica Vitti,  musa di Antonioni – che vivono un’esistenza in un mondo diviso a metà, alienato, in un crescendo di emozioni acuite dal bianco e nero e dall’atmosfera soffocante.

Il regista porta sugli schermi la crisi dell’individuo e della società moderna, filtrata anche attraverso le scene di smarrimento che si intrecciano perfettamente alle dinamiche innescate dall’industrializzazione e dai suoi orizzonti.

Il corsaro e poeta Pier Paolo Pasolini, in una lettera in risposta a un quesito della rivista “Vie Nuove”, analizza così il mondo di Antonioni: «[…] Sia La notte che La noia, esprimono la solitudine dell’uomo moderno, o più precisamente l’anti- umana condizione dell’uomo nell’odierna società. […]

Per Antonioni, il mondo in cui accadono fatti e sentimenti come quelli del suo film è un mondo fisso, un sistema immodificabile, assoluto, con qualcosa, addirittura, di sacro. L’angoscia agisce senza conoscersi, come avviene in tutti i mondi naturali: l’ape non sa di essere ape, la rosa non sa di essere rosa, il selvaggio non sa di essere selvaggio.

Quello dell’ape, della rosa, del selvaggio, sono mondi fuori dalla storia, eterni in sé stessi, senza prospettive se non nella profondità sensibile.

Così i personaggi di Antonioni non sanno di essere personaggi angosciati, non si sono posti, se non attraverso la pura sensibilità, il problema dell’angoscia: soffrono di un male che non sanno cos’è. Soffrono e basta. Del resto, Antonioni non ci fa capire o supporre o intuire in alcun modo di essere diverso dai suoi personaggi: come i suoi personaggi si limitano a soffrire l’angoscia senza sapere cos’è, così Antonioni si limita a descrivere l’angoscia senza sapere cos’è […]».

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