Ride the Lightning: We Are Not Your Kind, in un mondo che divide gli Slipknot uniscono

È stato ufficialmente rilasciato il nuovo – e sesto – album degli Slipknot, dal titolo “We Are Not Your Kind”. Prima di analizzare nel dettaglio il lavoro conviene illustrarne il contesto di realizzazione; difatti, anche in questo disco, la band ha dovuto fare i conti con vicende personali molto delicate. Si discute del primo album senza lo storico percussionista Chris Fehn, rimpiazzato da “Tortilla Man” (artista sconosciuto, ma già molto apprezzato dai fan). Il 18 maggio 2019 invece, vi è stata la prematura morte di Gabrielle Crahan (22), figlia del fondatore e percussionista della band, Shawn “Clown” Crahan.

Premesso ciò, bisogna capire che quello che stiamo per andare ad analizzare, più che un disco, è una vera e propria “esperienza”, come sostenuto dal chitarrista Jim Root. Il titolo dell’album va ad indicare una sorta di “zona franca”, dove tutti gli oppressi, e tutti coloro che trovano negli Slipknot un solido aiuto nei momenti di difficoltà, potranno trovare rifugio nel momento del bisogno. Un desiderio di coesione, una volontà di tenere uniti i fan come una vera e propria famiglia, ma allo stesso tempo rendere consapevole la persona di poter affrontare una società ormai alla deriva, con le spalle coperte da altri soggetti accomunati dallo stesso sentimento verso una band che si è fatta promotrice di un messaggio complesso quanto importante. La capacità di guardare al di fuori di questa “zona franca” e poter dire “Noi non siamo la vostra specie”.

Per ottenere tale risultato, gli Slipknot hanno lavorato in modo estremamente ordinato, e questo lo si può notare sotto diversi punti di vista. La struttura dell’album – 14 brani con lunghezze calibrate e dosate – permette all’ascoltatore di godersi ogni singola sensazione e sonorità fin dal primo ascolto. Brani come “Nero Forte” e “A Liar’s Funeral” sono altamente caratterizzati da una pluralità di aspetti, tutti in connessione, che permettono un gioco fra i diversi “stati d’animo” in perfetto stile Slipknot. Chiaramente, il tutto è gestito con una tecnica e con una ricerca nel sound maniacale, come testimoniano i riff strazianti che sembrano quasi udirsi in lontananza in diversi brani.

E’ possibile anche evidenziare alcuni tratti somatici che richiamano a precedenti lavori, il brano “Orphan” sembra ricalcare aspetti del precedente disco “The Gray Chapter”. Nonostante questi riferimenti, “We Are Not Your Kind” ha un’anima completamente rinnovata, un lavoro veramente edificato da zero.

La prova offerta dagli Slipknot è di altissimo livello, difatti questo è un lavoro che risponde perfettamente a tutti quei detrattori “gratuiti” che attendono solamente l’uscita di un loro lavoro per lasciarsi andare ad affermazioni superficiali e spesso prive di logica.

Tornando alla struttura dell’album, quando tutto sembra concludersi ecco che viene piazzata – come un vero e proprio “jolly” – “Solway Firth”. Pezzo che ha bisogno di tempo per essere assimilato, ma che una volta acquisito rende consapevole l’ascoltatore di imbattersi in un lavoro maturo, completo ed a tratti spregiudicato; in sintesi un brano che elimina qualsiasi remora o incertezza.

Molto importante è stato il lavoro offerto dai tre singoli rilasciati prima dell’uscita dell’album stesso; tre brani diversi e capaci di mettere in risalto la prospettiva dell’intero disco.

Per chiudere, il consiglio è quello di prestare attenzione, il disco infatti, nonostante sia diretto, nasconde molte velature che lo arricchiscono e che ne consentono un godimento ancor più amplificato.

Nel frattempo, bentornati.

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