Gocce di Laboccetta: Riflessioni in quarantena

Il Corona-Virus è stato definito una guerra. Le similitudini sono evidenti anche per chi non ne ha mai combattuto una. L’Europa è stata da sempre promotrice e fautrice di pace e stabilità e per oltre mezzo secolo diverse generazioni non hanno conosciuto la guerra se non tramite i libri di storia e le voci narranti dei nostri nonni e bisnonni. Loro che oggi sono tra i più fragili e colpiti dal Covid 19.

Grazie ai loro racconti sappiamo che a quei tempi mancavano acqua corrente, luce, gas. Quasi nulla con cui nutrirsi ancora meno le legna da ardere per scaldarsi. Quelle case, gelide, erano riscaldate dall’energia e dal calore familiare. Di fuoco, c’era il coprifuoco che (allora) era rispettato, pena la vita.

Oggi la pandemia causata dal virus Corona ci sta, ahinoi, insegnando cosa si provi a dover combattere.

Il virus gioca a nascondino e spesso, quando ‘fa tana’, si finisce in una bara. Agghiaccianti vivono in noi le immagini di Bergamo, dove alcuni mezzi militari, come carri funebri, trasportavano i feretri in un’altra regione poiché i cimiteri locali erano pieni. Così Covid-19 ci impedisce di seppellire i nostri cari, ci priva della possibilità di dare l’estremo saluto, di piangere sulla loro tomba. Sembra che riemerga qualcosa di simile al tema de I Sepolcri di foscoliana memoria.La commemorazione funebre, la sepoltura mantengono presenti nei vivi, le assenze ormai eterne.

È un conflitto mondiale, nessun continente escluso seppur con tempi diversi e non sempre coincidenti. È un nemico che non rispetta alcun confine, Convenzione, Statuto. Un nemico ben peggiore di un qualsiasi esercito poiché è invisibile e colpisce indiscriminatamente, civili inclusi.

Metaforicamente parlando, in questa battaglia, le nostre case sono le trincee. Siamo tutti soldati, chiamati a rispondere a un’ineludibile chiamata che non possiamo fingere di non sentire. A combattere in prima fila, i medici, gli infermieri e il personale sanitario. Tra le munizioni, le terapie intensive che però hanno bisogno di tempo per darci ‘copertura’ e la nostra artiglieria più efficace rimane lo stare in casa. Ripensando ai nostri avi, lo sforzo non è poi così immenso. Le nostre case sono calde, i frigoriferi sono pieni, e la tecnologia accorcia le distanze. Connessi possiamo vederci, comunicare, sentirci vicini. Libri da leggere, film da vedere, corsi da seguire, occasioni per migliorarci. Per ritrovare il senso delle cose, di noi stessi, del valore della famiglia e delle relazioni. Se poi consideriamo, come dobbiamo, che in ballo c’è la vita, la nostra e quella dei nostri cari, quella che può sembrarci un’esigenza impellente appare un semplice vizio, un mero capriccio. Sappiamo che ciclicamente, vi sono stati accadimenti ben più gravi che rispettare una necessaria quarantena. Direi di rimanere positivi ma le parole hanno sempre un peso e se mi permettete una piccola riflessione forse ironica su senso e significato di alcuni termini, in questi giorni è meglio non ‘essere positivi’. Utilizzerò quindi un sinonimo, siamo, siate ottimisti e negativi (al virus).

L’esperienza cinese, poi, ci ha inevitabilmente insegnato qualcosa. Possiamo infatti agire come chi conosce già le carte che l’avversario ha in mano, non nel senso di una veggenza ma di una rinnovata consapevolezza. Non serve dunque barare, (uscendo quando non necessario con le più disparate scuse) conosciamo già le mosse del virus e per tale ragione possiamo vincere la nostra partita, le battaglie e quindi la guerra.

Il tempo in quarantena sembra dilatato, ci pone a tu per tu con i nostri pensieri e allora meditiamo sul Bene Comune, rispettiamo quelle poche ma efficaci regole e facciamo in modo che tutto ciò diventi un Blitzkrieg, una guerra lampo vinta da noi tutti.

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