Rivolte nella terra dell’uranio

Da 6 giorni ormai è in corso una rivolta popolare in Kazakistan a causa dell’aumento del prezzo del gas. I rivoltosi sono scesi nella piazza principale di Taldykorgan, rimuovendo il monumento dedicato alla dittatura di Nazarbaev, l’ex presidente dello stato kazako. In più, è stato colpito anche l’aeroporto di Almaty (situata nella parte orientale a confine con la Cina) e, sempre nella stessa città, la zona dell’akimat, ovvero la residenza locale del neo presidente Tokayev. Sembra che ad aiutarli ci siano stati alcuni uomini degli 007 guidati da Karim Masimov, in carica dal 2016 e fedelissimo a Nazarbaev, arrestato e condannato per alto tradimento.

Un disordine interno che ha provocato non una, ma ben più reazioni di solidarietà e sgomento da parte dei Paesi alleati e non. A partire dalla Russia e dalla Cina, che non hanno pochi interessi in questa terra. Sappiamo tutti che la Russia ha una notevole influenza sui territori asiatici a lei confinanti e che non tollera facilmente rivolte che possano minacciare il proprio regime. Per questo, ha subito inviato delle truppe della Csto (la NATO dell’ex URSS) per aiutare il governo a reprimere le manifestazioni. Questa azione è stata giustificata dal presidente – dittatore Tokayev come aiuto contro “l’aggressione terrorista di ispirazione straniera”. Al momento, non ci sono prove concrete del sostegno straniero – chiaramente inquisitorio verso l’occidente – anche se il primo pensiero è subito stato quello del filantropo americano più odiato dagli autocrati, George Soros.

Gli interessi della Russia

Il Kazakistan è uno dei territori appartenenti alle ex repubbliche sovietiche della parte settentrionale del Medio Oriente. Insieme al Turkmenistan, è il Paese che occupa la maggiormente la parte centrale del Medio Oriente (oltre 2,72 milioni di km²) fino ad arrivare a confinare con la Cina. Dal punto di vista geografico, la porzione occidentale del Paese, che si estende ad ovest dell’Ural, è europea, dato che il fiume per convenzione segna il confine tra Europa e Asia: perciò il Kazakistan è considerato uno Stato transcontinentale. Ha un sottosuolo molto ricco di risorse naturali, soprattutto petrolio e metano (partner di Eni italiana), ferro, carbone, manganese e uranio. Fa partedell’Unione Economica Euroasiatica, dell’Organizzazione per il Trattato di sicurezza collettiva e quello per la cooperazione di Shangai. Ha un ruolo centrale per la Nuova Via della Seta, tuttavia condivide con la Russia circa 700 km di confine e la regione settentrionale è marcatamente russofana. È governato da più di trent’anni da un uomo con un pugno di ferro, Nursultan Nazarbaev, che ha lasciato la presidenza nel 2019 ma è ancora molto influente ed è il capo del Consiglio di Sicurezza. Il successore è Qasym – Jomart Toqayev che ha promesso riforme politiche mai avviate e oggi paga il malcontento della popolazione.

Putin è preoccupato perché la rivolta potrebbe espandersi e contagiare la popolazione russa ad insorgere contro il suo governo autoritario. La folla ha abbattuto le statue simbolo del potere di Nazarbaev: come in Ucraina e in Armenia indica la volontà di rovesciamento dei regimi dittatoriali. Ricordiamo che a settembre 2021 ci sono state le elezioni parlamentari del DUMA, a cui è arrivato con fatica grazie anche all’opposizione simboleggiata da Navalny, e che nel marzo del 2024 ci saranno le elezioni presidenziali (ogni 6 anni, l’ultima nel 2018). Tutto questo è segno della sua debolezza in ambito di sicurezza e che molto probabilmente si troverà a negoziare con gli USA nel territorio di sua influenza.

Il paese di Nazarbaev ha sempre avuto buoni rapporti con gli USA dal 2004 al 2019 che ha venduto 43 milioni di dollari di armi. Infatti, non c’è una narrazione antioccidentale e dal 2003 l’esercito kazako ha svolto esercitazioni congiunte con la NATO. Tuttavia, non si escludono infiltrazioni occidentali volte a destabilizzare il paese, sfruttando anche le diverse tensioni tra le comunità.

Gli interessi della Cina

Anch’essa è retta da un regime a partito unico e, ugualmente alla Russia, non gradisce instabilità intorno al proprio territorio. È ancora molto vicina all’ex presidente ed è la principale nazione a cui importa il gas (+47% è ceduto alla Cina), anche se ultimamente ha subito un calo di esportazioni.

A questo, si aggiungono anche ragioni economiche come ad esempio la crisi dei bitcoin: nel 2021 circa 90 mila società di criptovalute si sono trasferite dalla Cina, determinando l’aumento di quantità di energia elettrica necessaria per produrre i bitcoin. Persino il mercato delle risorse naturali del paese ha subito un cambio di rotta di crescita: l’uranio scende a discapito del petrolio che si trova in risalita (21% del PIL del paese nel 2020).

Il Kazakistan produce più del 40% di uranio nei mercati globali, materiale combustibile principale dei reattori nucleari, soprattutto per le centrali nucleari francesi. Con le proteste il prezzo dell’uranio è salito dell’8% anche per due ragioni: in primis perché una singola società canadese da mesi sta investendo su questa risorsa; in secundis, perché è intenzione della Commissione Europea trasformare l’uranio in una energia sostenibile per il cambiamento climatico. Queste, però, devono fare i conti con il calo delle estrazioni (-10%) di uranio della compagnia del paese Kazatomprom.

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