Rottura Russia-Nato: intervista al generale Camporini

Rottura Russia-Nato. Il Gen. Vincenzo Camporini, consulente scientifico dell’Istituto Affari Internazionali, disegna una spiegazione di quanto è successo tra l’Alleanza Atlantica e Mosca, a quali sono state le reali minacce e a quali saranno i possibili scenari futuri.

Abbiamo già parlato nel precedente articolo (clicca qui per leggerlo) della spaccatura definitiva tra Russia e Nato, sancita prima a parole dal Ministro degli Esteri Lavrov e poi avvenuta il 1 Novembre con la chiusura dell’Agenzia NATO presenta nella capitale russa. Decisione presa in risposta alla deliberazione NATO di ridurre da 20 a 10 i membri russi presenti nelle fila dell’Alleanza, accusando i diplomatici del Cremlino di essere veri e propri agenti segreti. Abbiamo quindi intervistato il Gen. Camporini come esperto in materia per questa delicata vicenda che avviene a pochi mesi dal ritiro delle truppe in Afghanistan.

L’opinione pubblica alla notizia della rottura ha pensato subito alla Guerra Fredda. Sgombriamo subito il campo con una domanda più generalista. E’ la Guerra Fredda 3.0 o non è mai del tutto finita?

La Guerra Fredda è certamente terminata nel 1989, con la caduta del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica. Ma il fatto che un conflitto abbia termine non significa che non ne possa riaccendersi un altro fra gli stessi contendenti anche dopo pochi anni: nel 1918 la Germania fu sconfitta, ma dopo pochi anni una nuova Germania rialzò la testa, cominciò ad avanzare pretese su territori confinanti fino  a scatenare il secondo conflitto mondiale.

Non ci troviamo certamente nella stessa situazione, ma alcune analogie esistono (come disse Mark Twain: “la storia non si ripete, ma fa rima”) ed è necessario approfondirle per evitare degenerazioni che possano diventare incontrollabili.

La Russia percepisce una minaccia alla sua influenza ogni qual volta si stringono contatti con i paesi dell’ex Patto di Varsavia. Una sorta di grande paranoia? Cosa c’è di vero nell’atteggiamento di Mosca?

L’anima russa ha una tendenza storica ad atteggiamenti paranoidi, quindi tutta una serie di azioni politiche dell’Occidente e degli Stati Uniti in particolare sono state percepite come aggressive, volte a circondare e a soffocare la Federazione Russa.

D’altro canto i decenni della Guerra Fredda hanno generato nel sentimento politico degli americani una diffidenza strutturale nei confronti di Mosca, che ha impedito un atteggiamento concretamente  e inequivocabilmente distensivo, anche perché alimentato da una radicale ostilità da parte di alcuni paesi della NATO e dalle loro influenti lobby a Washington, in particolare, ma non solo, la Polonia.

La reazione russa è stata un progressivo irrigidimento sfociato in azioni di aperta ostilità. Nell’agosto 2008 un’improvvida iniziativa da parte georgiana ha fornito l’occasione per una breve ma intensa campagna militare con risultati disastrosi per Tbilisi e nel 2014 gli eventi politici di Kiev (cui alcuni ambienti occidentali non sono stati certo estranei) hanno fornito a Mosca il pretesto per riappropriarsi della Crimea, dando anche aperto sostegno all’irredentismo delle regioni russofone dell’Ucraina.

Sul piano formale poi le irrisolte questioni del trattato CFE e la rinuncia ai trattati ABM e INF hanno minato le basi stesse del ‘confidence building’, invece sempre più necessarie, visto anche il progressivo ampliarsi delle forme di conflittualità a nuovi ambienti, in particolare quello spaziale e quello cyber.

Viviamo in una situazione con elevati livelli di tensione, ma definire tutto ciò un nuova ‘Guerra Fredda’, mi appare assai esagerato.

Personalmente ritengo che ogni sforzo debba essere fatto per depotenziare i motivi di dissenso e in tale direzione molte iniziative sono atto: vorrei solo citare ad esempio quelle in corso da parte dell’Euro Atlantic Security Leadership Group.

Una delle contromosse preferite della Russia da 20 anni a questa parte sono le esercitazioni militari a confine con i paesi dell’ex-URSS. Continuano ancora oggi?

Non dispongo di informazioni dettagliate sulle attività esercitative russe, che tuttavia so essere frequenti e spesso imponenti. La più importante sul fronte occidentale è la Zapad (che in russo significa appunto Occidente), che si svolge su base quadriennale e che nel 2021 ha visto l’impegno di oltre 150.000 militari delle diverse forze armate e specialità, con uno scenario che ha impensierito i paesi Baltici, in particolare l’Estonia, che ha un’elevata percentuale di popolazione russofona (per nulla interessata ad una ‘riunione con la grande madre Russia’). A titolo di confronto è bene ricordare che la più imponente esercitazione della NATO, denominata Display Determination, mobilita non più di 30.000 militari.

Con la rottura Russia-Nato, il Cremlino guarda verso la Cina sul fronte geopolitico?

Il riavvicinamento di Mosca a Pechino sembra essere la direttrice verso cui si sta muovendo la leadership russa. La Russia è pienamente consapevole delle proprie debolezze e fragilità: demograficamente in rapido declino, con una speranza di vita media in diminuzione, anche prima della pandemia del CoViD 19, con un’economia basata prevalentemente sulla rendita energetica, con un  impianto industriale arretrato che appare incapace di reale innovazione. Mosca sa di avere bisogno per il suo futuro di un’alleanza strategica e non potendo/volendo trovarla in Occidente si sta gettando nelle braccia di Pechino, con cui già nel 1996 aveva sottoscritto la SCI (Shanghai Cooperation Initiative), insieme a India e altri paesi ex sovietici dell’Asia Centrale.

Russia-Cina, così simili e così diverse. Quanto mette paura questa alleanza?

Si tratta di una decisione che può suscitare perplessità, vista sproporzione demografica dei due paesi, la palese e abnorme differenza di densità abitativa sui due lati del lunghissimo confine tra Siberia e Cina e visto un passato conflittuale con scontri armati lungo la linea di demarcazione sul fiume Ussuri nel 1969.

Il consolidamento di un’alleanza delle autocrazie in opposizione alle democrazie di stampo occidentale (includendo Giappone e Corea del Sud) avrebbe conseguenze strategiche di vasta portata e potenzialmente devastanti. Credo pertanto che sarebbe interesse di lungo periodo sia della Russia che del mondo occidentale avviare un percorso di riavvicinamento, ricreando un clima di fiducia per definire i necessari compromessi.

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