Se ami l’Italia, ama la libertà

“Se ami l’Italia, mantieni le distanze”, ha detto il premier Conte tra le prime parole di una lunga, balbuziente e sterile conferenza stampa davanti a un popolo in attesa di certezze. Se ami l’Italia, rispetta le distanze, ma ama la libertà. E difendila da chi, sotto la spoglia dell’innegabile emergenza, continua a ingannarla dietro ai microfoni di un salone vuoto e persiste nell’eludere il Parlamento, ieri baluardo di confronto, oggi spettatore in tribuna. 

Già a partire dalla lunga premessa, era comprensibile che il contenuto dell’annunciato decreto sarebbe stato impopolare e rabberciato. Ormai da due mesi gli italiani sono serrati in casa, vivono all’insegna della monotonia più asfissiante, controllati come se fossero dei detenuti durante l’ora d’aria, che peraltro gli è concessa solo per recarsi a fare la spesa; attendono, pazienti, l’inizio della fine, l’altro virus cioè la recessione economica. Sanno che molti di loro perderanno il lavoro, godranno della questua laica della cassa integrazione fino a che non avranno la certezza di essere disoccupati, con famiglie da mantenere. Fino a oggi hanno rispettato con serietà le disposizioni prolungate, non senza fatica: da domani  verrà la disperazione. Tutti, a seguito della conferenza di ieri, auspicavano delle risposte, che non dichiarassero un ritorno alla normalità come prima del virus, ma che fossero coscienziose e serie per salvare il salvabile. Invece, non è emerso pressoché nulla. La tanto avvertita “Fase Due” si è dimostrata una “fase uno più”. Davvero sono serviti 600 esperti, divisi tra unità operative e comitati discutibili, per versare la goccia che farà traboccare il vaso della pazienza degli italiani, anziché pianificare una ripartenza logica e in sicurezza? Le fabbriche di produzione all’ingrosso riapriranno, ma per vendere a chi? Come può un virologo, dall’alto della sua indiscutibile competenza medica, suggestionare a tal punto un politico nelle sue decisioni riguardo alla cosa pubblica?

A questi interrogativi gli italiani non trovano risposte. È preoccupante notare che la società, in tutto ciò, dorma. Un sonno senza sogni, senza incubi. Semplicemente assopita dalla quotidianità, abituata alle conferenze stampa unilaterali, con qualche giornalista che tutt’al più chiede delucidazioni attraverso un collegamento digitale traballante. Sarebbe lecito domandarsi se l’Italia di oggi, così passiva, sia la stessa che conquistò la democrazia col sangue e volle la Costituzione repubblicana, compromesso ed espressione di una diversità politica profonda, eppure unita nell’idea di libertà. Sarebbe logico, inoltre, riflettere sul fatto che gli avi della società odierna furono i protagonisti del boom economico, condussero l’Italia sui palcoscenici del mondo, fecero della loro capacità un vanto all’estero e un omaggio al Paese. E invero i loro nipoti, oggi, obbediscono con indolenza all’usurpazione della libertà. Clausura fisica e mentale. “Colui che rinuncia alla libertà per la sicurezza, non merita nessuna delle due”, tuonava Thomas Jefferson, alcuni secoli fa. La sicurezza è garantita dalla libertà: il diritto a essere protetti non può prescindere dal diritto di produrre, lavorare, contribuire a un interesse pubblico e privato. Che genere di sicurezza si può pretendere, quando v’è la certezza di perdere lavoro, utilità sociale, stabilità familiare? Gli italiani, se continueranno a essere così inerti, non meriteranno nessuna delle due. 

L’uniformazione civile a cui il Paese è giunto non è né un punto di partenza, né un approdo. Semplicemente, è una condizione di cui sbarazzarsi al più presto. La ribellione, espressione di un dibattito in seno alla democrazia, è un diritto da gridare forte. Per ribellarsi non serve indossare un gilet giallo, basta decidere che il vestito dell’obbedienza – senza se e senza ma – non calza più come prima. E pertanto dire “no”, a gran voce, nel coro di chi china il capo. Il segreto della libertà è il coraggio.

1 commento

  1. Senza incubi? Ne ho eccome di incubi, io! E’ da un pezzo che scrivo che è arrivato il momento della disobbedienza civile in massa, e di pretender eil ripristino dei diritti costituzionalmente garantiti, di cui è stato fatto strame.

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