SHEIN e il mondo ultra-fast fashion

Da qualche tempo nel mondo della moda  primeggia un solo nome: Shein. Si tratta di una e-commerce cinese che sta spopolando in tutto il mondo, soprattutto tra i giovani. I capi proposti sono accattivanti,variegati e super economici: un sogno no? Ma cosa si cela dietro a questa moda a basso costo?

Il colosso asiatico, inizialmente chiamato SheInside, è stato fondato dal misterioso imprenditore Chris Xu nel 2008. Da subito, il marchio si è fatto strada attraverso i social collaborando con influencer, anche dal medio seguito. L’idea era quella di competere con i grandi marchi del mercato occidentale, come H&M e Zara, rivendendo i prodotti senza intermediari (abbattendo così, i costi di produzione) e producendo il tutto in fabbriche asiatiche.

Il successo dell’azienda è aumentato sempre di più nel corso degli anni, sia per i prezzi irrisori dei capi (tra i 5 e i 10 euro) che per i prodotti proposti (repliche di capi di tendenza). Nel 2020, grazie alla pubblicità a suo nome, ha fatturato 10 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto ai 4,5 del 2019. Nel maggio 2021, Shein è diventata l’app per lo shopping più popolare negli Stati Uniti, superando Amazon. Il target a cui mira l’azienda sono i giovani, quelli della generazione Z, dai 15 ai 25 anni.

Questo marchio tanto economico e funzionale fa parte del criticabile universo della moda ultra fast fashion. Il termine sta ad indicare  un modello di business che punta a massimizzare il numero di capi venduti a prezzi bassissimi e ad una velocità di produzione estenuante. L’alta produzione di questi capi, di qualità spesso discutibile, crea un moda “usa e getta” e aumenta lo shopping compulsivo.

Non prestando attenzione ai rischi dei materiali ma solo al risparmio, questa moda è estremamente nociva per l’ambiente. La fast fashion, infatti,  è uno degli agenti maggiormente inquinanti al mondo e ciò è dovuto, in parte, all’utilizzo di pesticidi, – che inquinano le acque e i terreni vicino le aziende –  e del poliestere, derivato dal petrolio, il principale responsabile delle microplastiche presenti nei mari. Altro fattore a rischio per l’ambiente è la sovrapproduzione. Se i capi restano invenduti, vengono inceneriti e ogni anno le discariche di tutto il mondo inceneriscono circa  12 milioni di indumenti. Le loro emissioni di CO2 contribuiscono gradualmente all’effetto serra.

Come accennato in precedenza, la produzione dell’abbigliamento di Shein raggiunge tempi record: una settimana per creare una nuova collezione. Grazie all’utilizzo di algoritmi, l’azienda riesce a produrre 500 nuovi capi ogni giorno. Tutto ciò a discapito dei dipendenti, provenienti da varie città cinesi, anche molto povere. I lavoratori tagliano e cuciono abiti per più di 75 ore alla settimana,  con un solo giorno di riposo al mese e un salario misero. I luoghi di lavoro, dalle condizioni igieniche discutibili, sono ambienti non a norma e i materiali utilizzati sono spesso pericolosi per l’uomo; tra questi, ad esempio, vi è la formaldeide, sostanza chimica altamente velenosa e dagli effetti cancerogeni.

Anche chi compra può essere a rischio. Un’inchiesta canadese sulle produzioni di Shein e altri marchi ultra fast fashion ha rilevato nei prodotti alcune quantità di piombo, pfas e ftalati, sostanze che non vengono eliminate dal corpo e non si decompongono. CBC News ha riportato che degli scienziati hanno scoperto che una giacca per bambini piccoli, acquistata dal rivenditore cinese Shein, conteneva quasi 20 volte la quantità di piombo che, secondo Health Canada, è sicura per i bambini. Una borsa rossa, anch’essa acquistata da Shein, aveva più di cinque volte la soglia.

La salute e il rispetto dell’ambiente sembrano non importare a queste aziende multimilionarie ma dovrebbe importare a tutti noi. Si dovrebbe fare luce sulle oscurità del mondo fast fashion e sulle aziende che lo compongono nonché spingere all’utilizzo di materiali salubri per l’uomo e per la natura, rendendo sicuri i luoghi di lavoro per i dipendenti. Un grande passo sarebbe costituire un sindacato, come ha recentemente fatto Amazon, così da tutelare chi lavora e creare un ambiente democratico. Anche noi che compriamo dobbiamo sapere il vero prezzo del nostro acquisto e ciò che c’è dietro.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here