Verba manent: caffè sfrattati

C’è una profonda differenza nel nostro Paese, fra chi vive generosamente e chi genera divisioni. Questa differenza si può riassumere, paradossalmente, in un caffè. 

A Napoli è consuetudine andare al bar per sorseggiare un caffè e scoprire che è già stato pagato dal cliente precedente. 

Si sorride, si ringrazia lo sconosciuto benefattore e si compie lo stesso gesto. Luciano de Crescenzo credeva che comportarsi così significasse “offrire un caffè al resto del mondo”. 

A Roma lo storico Caffè Greco sta per essere sfrattato, complice un affitto vertiginoso diventato insostenibile. Caffè che vanno e non tornano più. 

Due secoli di storia, tra artisti, nobili, statisti e anonimi consumatori verranno spazzati via dalla brama pecuniaria. La questione non è passata in secondo piano e in tanti si stanno mobilitando per evitare la chiusura del locale, tra protagonismi e generosità autentiche. 

Resta una domanda, nell’incertezza del caso: “Un caffè può davvero cambiare il morale di una giornata?”

Se la risposta è negativa, allora i dispiaceri dureranno meno di una settimana e la vita di Via dei Condotti resterà frenetica, tra turisti e passeggeri ammaliati dalle vetrine (i cui proprietari, peraltro, non fanno nulla per rimediare alla vicenda). 

Se la risposta, invece, è affermativa, allora lo scemare del piacere di un caffè lascerà un vuoto nell’entusiasmo dei romani e di chi, dal 1760, si è seduto sui celebri tavoli per amore, affari, decisioni da prendere e amici a cui offrire un gusto inconfondibile. 

Oppure, semplicemente, per bere un caffè di cui resterà solo l’odore aspro e il ricordo vellutato nelle memorie di coloro che hanno avuto la fortuna di assaggiarlo.

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