In una terra già devastata da mesi di conflitto, la fame è diventata l’arma più crudele. A Gaza, oltre due milioni di persone sono intrappolate in una crisi umanitaria senza precedenti. Nonostante l’ingresso di alcuni convogli umanitari, la distribuzione di cibo e medicine resta bloccata, impedita da restrizioni israeliane e condizioni di sicurezza precarie. Le immagini che giungono dalla Striscia mostrano ospedali al collasso, bambini denutriti e famiglie disperate. Secondo le Nazioni Unite, migliaia di bambini rischiano la vita per malnutrizione e mancanza di cure mediche.
La verità è che nessuna guerra è mai davvero win-win. Nemmeno win-lose. È solo una lunga, tragica sconfitta in cui a perdere non sono mai i generali, i ministri della difesa, i presidenti o i comandi supremi. A perdere sono i civili, i più deboli, gli innocenti. Quelli che restano sotto le macerie, che muoiono nei campi profughi, che sopravvivono solo per essere condannati alla fame. Lungi da noi fare dello sciocco populismo, siamo ben consapevoli delle dinamiche di difesa e belliche, eppure chiediamo: qualcuno ha mai visto, in epoca contemporanea, un leader di una nazione belligerante armarsi di fucile ed elmo e scendere in battaglia?
Il diritto internazionale non può essere un optional. Va rispettato, sempre. La protezione dei civili, il libero accesso agli aiuti, la tutela delle strutture sanitarie non sono favori da negoziare ma obblighi inderogabili. Se lasciamo che vengano sistematicamente violati, allora non solo perdiamo vite: perdiamo il senso stesso del vivere civile. Perdiamo la nostra umanità.
E poi c’è una domanda che nessuno, salvo Trump tra serio e faceto, sembra porsi: cosa accadrà dopo? Chi ricostruirà Gaza? E soprattutto, cosa verrà ricostruito? Un quartiere? Una città? Una speranza? Oppure un’area geografica presente solo sulle mappe e completamente inesistente nella realtà, devastata fino a diventare impraticabile, irriconoscibile, invivibile?
È tempo che le ostilità cessino. È tempo che la comunità internazionale agisca con decisione per garantire la fine delle violenze e l’accesso incondizionato agli aiuti umanitari. La vita di milioni di persone dipende da scelte politiche che non possono più essere rimandate.
La storia giudicherà la nostra capacità di rispondere a questa crisi con umanità e determinazione. Non possiamo permettere che la fame diventi l’epitaffio di un’intera generazione.