Verba manent: i missili della discordia

In una sera il mondo è stato sull’orlo di una crisi diplomatica con pochi tragici precedenti, tutti dall’esito nefasto. Due missili, finiti su un villaggio in Polonia al confine con l’Ucraina, hanno ucciso delle persone di nazionalità polacca. Le ricostruzioni a caldo hanno aperto la pista all’ipotesi di un attacco, voluto o accidentale, da parte della Russia. Immediate le reazioni dell’opinione pubblica, tra lo sgomento e il fazioso.

Nell’era della politica della comunicazione, e non viceversa, dove è gara tra i partecipanti a chi batte per primo la notizia, in molti non hanno perso tempo a indagare o, coscientemente, ad aspettare maggiori certezze prima di dire la propria. Così Enrico Letta, che in un tweet ha ricordato come “quel che succede alla Polonia succede a noi”, come se “noi” fossimo stati bersaglio di due missili russi e per questo dovessimo stringerci in un cerchio di solidarietà pacifista. Non ha atteso neppure la stampa, quella di parte, cioè un po’ tutta oggigiorno, che in base ai propri schieramenti aveva già supportato teorie di guerra diplomatica ancor prima di conoscere verità e decisioni dei veri attori in causa, peraltro tutti riuniti al G20 e svegliati nel mezzo della notte dalla notizia. 

La guerrafondaia America, che alcuni a sinistra guardano come il vero responsabile di tutto, invece, è stata la più cauta: il Pentagono ha atteso, non ha confermato nulla nell’immediato, non ha fomentato reazione alcuna – come quella della piccola Lettonia, che sembrava già pronta alla guerra poco dopo la caduta dei missili. 

Qual è stata la verità dei fatti? Che quei missili erano ucraini, caduti dalla contraerea ucraina che probabilmente ha sbagliato rotta. “Uno sfortunato incidente”, perché si è scoperto, a quanto pare, che tali missili fossero ucraini. “Un errore” che è costato la vita a due polacchi, cittadini di un membro NATO, proprio come se a ucciderli fosse stato un missile russo, con conseguenze, tuttavia, facilmente prevedibili nella loro diversità. 

L’articolo 5, bistrattato come poche altre volte da quel lontano 1949 in cui fu scritto, non prevede nessun automatismo di attivazione: in poche parole sono gli Stati a decidere se considerarlo. Perché nessuno ha lontanamente pensato di utilizzarlo nonostante quei missili fossero ucraini? Due pesi e due misure, come è giusto che sia, per carità; c’è un aggressore e un aggredito con tutta evidenza. Però le dichiarazioni sprovvedute e le crisi diplomatiche sfiorate per fretta e imperizia sono rischiose. Soprattutto in tempi di guerra già in atto. 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here