Verba manent: Mussolini nel pallone

Romano Floriani Mussolini, appena diciottenne, è già nell’occhio del ciclone. E non perché, come molti altri suoi coetanei e giocatori, ogni tanto si concede una serata di troppo, bensì per il cognome che porta. Quel “Mussolini” impronunciabile, innominabile, censurabile.

Romano è stato convocato in prima squadra nella Lazio, ove gioca dal 2018, e tutti hanno parlato di lui perché pronipote del Duce. Qualcuno ha addirittura censurato il cognome, nominando solo “Floriani”, il primo dei due cognomi, che peraltro il giovane ha scelto di mettere sulla maglietta, a scapito dell’altro. Classe 2003, nel fiore degli anni e con in mente un futuro calcistico, deve sorbirsi l’onta mediatica di giornali e commentatori. Per Open il titolo più giusto per lanciare la notizia (se di notizia, poi, può parlarsi) è stato: “Romano Floriani Mussolini: per il pronipote del Duce arriva la convocazione della Lazio in prima squadra”.

Quanto ci azzecca quel riferimento di parentela con il fatto che la squadra abbia deciso di dargli spazio in Serie A? Probabilmente nulla. Eppure fa click, attira l’attenzione della gente.

Perché non dire, tuttavia, che Romano è figlio di Alessandra Mussolini, quella donna che non andava bene, finché veniva candidata dalla Destra, mentre quando si è schierata apertamente a favore del ddl Zan è diventata una paladina dei diritti? Prima “Mussolini” era un’offesa alle istituzioni, ora è una voce in più per la causa Lgbt?

Per piacere, adoperiamo coerenza. E lasciamo divertire un giovanotto con delle speranze, senza renderlo parte di un circo itinerante che, da anni, fa sempre lo stesso giro.

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