Verba manent: nuovi dpcm

Nuovi decreti, niente problemi. Una delle maggiori imprese di Mario Draghi è stata far accettare i dpcm a quella collettività che, quando li promulgava Conte, gridava alle limitazioni della libertà, ai regimi sudamericani e all’incostituzionalità delle decisioni.

Cos’hanno i dpcm di Draghi di diverso da quelli del suo predecessore? Nulla. La bravura, se così può definirsi, del nuovo esecutivo è stata quella di addolcire la pillola; in altre parole, non spezzare la continuità dell’uso e mettere a tacere le contestazioni. Tuttavia, se si ragiona bene, la sostanza è la stessa. Quegli stessi decreti che hanno superato l’istituzione parlamentare, che hanno generato una pluralità di opinioni, tra chi riteneva giusto lo strumento “eccezionale” e chi credeva che se ne facesse un abuso, oggi vengono riproposti in un’altra salsa: c’è Mariastella Gelmini, che li giustifica alla luce delle varianti, e c’è Speranza rinvigorito dalla conferma al ministero più importante.

Come reagirà la gente, se Draghi continuerà a utilizzarli? Dov’è finita quella voglia di ribellione che ardeva – o meglio, sembrava ardere – negli animi dei più irritati? È svanita, così come le speranze di chi ha investito risorse e tempo nell’impresa e nel futuro. La pandemia è l’ostacolo da superare, e ha la precedenza nelle scelte, ma guai a dimenticare chi da un anno non alza la serranda della propria attività. Significherebbe perseverare nell’errore, e commetterne così uno ancor più grave, Draghi o non Draghi.

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