Verba manent: SuperLega

Il Carroccio al 34%, le elezioni Europee del 2019 sembrano un lontano ricordo. Quella era la SuperLega, guidata da un Salvini più leghista e meno europeo, più integralista e meno dialogante. Oggi il partito ex Nord, comunque prima forza nazionale, si è adattato alle esigenze della politica contemporanea, risponde a una maggioranza più larga ma meno cospicua di elettori. 

Due anni dopo quel traguardo, stava per nascere, calcisticamente, una competizione elitaria, per ricchi club che avrebbero escluso tutti gli altri. Come può piacere ciò che è elitario al leader di un partito che ha fatto del populismo uno strumento di caccia al voto?

Tant’è che Salvini, noto milanista, si è espresso in negativo verso questa lega, richiamandosi alla passione e ai valori più umili dello sport. 

Quando qualcuno gli ricorderà di chiarire sui 49 milioni, d’ora in poi avrà una scusante bell’e buona: “Ursù signori, 49 milioni? Cosa sono in confronto ai 2.5 miliardi che la Superlega avrebbe diviso tra i club fondatori?” Più soldi fanno dimenticare meno soldi, anche quando si parla di milioni. 

Avrebbe dovuto affrontare, pur tuttavia, una briga in più quando gli avrebbero domandato perché il suo Milan avrebbe gareggiato in una competizione più snob rispetto alla modesta Serie A, che annovera Spezia e Crotone nel suo tabellone. 

Allora egli, tifoso sì ma politico prima di tutto, avrebbe risposto che il Milan l’ha stancato. E poi al nord già fa l’imbarcata alle elezioni. Se fosse nata la SuperLega, avrebbe tifato Benevento. Tanto al cambio di maglie c’è abituato: dai Comunisti Padani alla Lega di Bossi, fino all’Italia di Draghi. 

Però, stavolta, è stato un nulla di fatto. Il calcio resterà capitalistico nella sostanza, umile nell’apparenza. Salvini, invece, secessionista nella sostanza ed europeista nell’apparenza.

O calcio, o mores!

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