Verba manent: tifoserie di guerra

Noi italiani, da popolo di “santi, poeti e navigatori”, siamo diventati popolo di tifosi. O forse lo siamo sempre stati, ma almeno ci rifacevamo pure alle altre tre categorie. In più, abbiamo il vizio di calcificare (non nel significato linguistico del termine) ogni cosa: tutto ciò che accade, dal fatto più banale a quello più serio, viene analizzato e discusso come se fosse una partita di pallone. Tifosi contro tifosi, una perenne stracittadina.

Si poteva pensare, in buona fede, che la guerra potesse aver purificato questo approccio un po’ provincialotto, invece no. Anzi, lo scontro si è acceso quasi come quando, al posto del generale, c’era il virologo di riferimento. Chi è stato anche solo una volta a Mosca per turismo, magari, esagerando, attratto più dalle bionde chiome che dalla storia del Paese, oggi si arroga il diritto di dissertare sul conflitto in maniera storico-geopolitica. E guai a contraddirlo! Perché Putin avrà sbagliato, certamente, ma anche l’Occidente c’ha messo del suo e forse lo zar è pure un po’ malato perché appare gonfio in viso. Dall’altra parte della barricata, i convinti occidentalisti che, da una settimana a oggi, hanno appreso l’esistenza dell’aggettivo “atlantista” e ne fanno vastissimo uso. “Io sono atlantista, credo nel Patto Atlantico e viva l’America”, il motto che si sente più o meno direttamente nei loro discorsi. 

La verità è che, in un simile contesto, che per fortuna ha delle eccezioni, è difficile ragionare sugli antefatti e sui fatti. Affermare che, ad esempio, Zelensky sia un presidente coraggioso e abbia risvegliato un amor patrio negli ucraini, tuttavia la sua perseveranza in una guerra dall’esito militare scontato possa provocare innumerevoli vittime, risulta assai difficile. Perché chi prova a ragionarci su resta beffato dal qualunquismo dei combattenti da salotto. Si è additati come “pacifisti” in tal caso; viceversa, sostenendo tesi bellicose, ci si può ritrovare addosso l’etichetta morale di “guerrafondai”. 

Finché il bel popolo italiano non capirà che è sacrosanto avere delle opinioni, ma prima di confutare con presunzione quelle altrui occorre ascoltare e, magari, studiare, lo stadio resterà il posto preferito dalla collettività del Paese. Per fortuna lì le società provano a sensibilizzare gli spettatori. L’esito, però, non è granché. 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here