A colloquio: come si reclutano gli insegnanti? La storia di Chiara

Quando chiamo Chiara su Google Meet, è un giovedì sera e siamo entrambe distrutte. Lei risponde alla chiamata al volo, dopo aver cenato di corsa, ed è contenta di vedere una faccia amica.

Ci aggiorniamo un po’ sulle rispettive vite: io incrocio le gambe sulla sedia e sorseggio una tisana, lei si accende una sigaretta, meditando sui ritmi lavorativi folli del suo ultimo anno.

Chiara ha appena accettato una supplenze di sette ore nella scuola serale, che si sommano a un incarico di altre sette ore in una scuola media della provincia. Condizione tipica del precario medio, quella di avere una cattedra su due scuole, non necessariamente nello stesso comune: ciò non significa soltanto prendere mezzi pubblici col cardiopalma e i minuti contati, rischiando il Covid e l’esaurimento, ma anche avere il doppio delle riunioni collegiali.

Eppure, Chiara è contenta del suo primo anno da insegnante. D’altronde, adattarsi è fondamentale. Questo è l’anno in cui Chiara non ha detto no a nulla, nemmeno a una supplenza nella scuola elementare.

A un certo punto, intavolo un argomento scomodo. Con lei voglio parlare del reclutamento degli insegnanti. Chiara è una docente con una cultura immensa, soprattutto in alcuni settori umanistici molto specifici, ma ha anche un master in economia. Inoltre, ha lavorato in una azienda che formula i quiz per i concorsi pubblici. Mi faccio raccontare la storia di questa esperienza.

Dopo la laurea umanistica nel 2018, Chiara cerca immediatamente un impiego. Prima fa la promoter, poi le giunge voce che un’azienda cerca una hostess di sorveglianza per i concorsi pubblici. Si candida e la assumono; a un certo punto, qualcuno si accorge che Chiara è responsabile e precisa, perciò cominciano ad esserle affidati incarichi di un certo peso. Addirittura, arriva a rappresentare l’azienda nelle riunioni in trasferta. Nei due anni successivi, in diverse occasioni, Chiara gestisce intere procedure concorsuali dall’inizio alla fine. Come spesso succede alle giovani donne, si butta nel lavoro mettendoci tutta sé stessa, con la dedizione e la passione delle persone che amano fare le cose per bene.

Peccato che la paga sia bassa; certamente, non adeguata alla responsabilità di chi deve selezionare personale che andrà a occupare posti di lavoro fondamentali per la società. Chiara prova a mettere da parte qualcosa ma, a novembre 2019, non le viene corrisposta la somma pattuita per un incarico particolarmente gravoso. Allora, qualcosa si spezza: Chiara è stanca di lavorare nella confusione e nella difficoltà, nel continuo ricambio di personale di un’azienda che, evidentemente, non investe a lungo termine sulle risorse umane.

Ma quindi… con un contesto così, se somministrato da aziende come questa, ha senso indire un concorso per selezionare i docenti? Le faccio questa domanda scomoda, sapendo che la sua è davvero una risposta consapevole e preziosa.

Chiara dice di no.

È inutile, non è grazie al concorso che esce fuori chi è un bravo insegnante. In questo modo viene premiato chi ha più memoria e tempo di memorizzare. Non serve molto nemmeno la capacità di ragionamento! Ho conosciuto tante persone che avevano vinto un concorso perché avevano memorizzato meglio di altre, meglio di persone valide, che lavoravano e sapevano risolvere un problema. Ecco, persone capaci come queste non riuscivano a passare, a rispondere a certe domande in un certo lasso di tempo.”

Quello del concorso è un sistema che non premia i meritevoli, ma chi ci prova di più e chi memorizza di più. È un terno al lotto, non è mai qualcosa di totalmente oggettivo.”

Inoltre, secondo Chiara, i concorsi scuola sono particolarmente complessi, più di altri. Per il reclutamento docenti anche lei, come tanti, pensa che sarebbe infinitamente più adeguato un sistema che valorizzi di più il percorso universitario e che lo completi con un periodo di tirocinio, sotto la guida di un docente anziano, e una successiva verifica.

Il problema è anche che la scuola non è meritocratica nemmeno con chi ci lavora.

Mi dispiace vedere che tanti colleghi considerano l’insegnamento un secondo lavoro, da svolgere pensando alla certezza dello stipendio. Forse questa professione va rivalutata. Io sono all’inizio e devo ancora imparare tutto, ma do anima e corpo perché mi sento responsabile dei ragazzi che mi vengono affidati. Quello che svolgo è un lavoro bello e impegnativo, più di altri; forse lo percepisco grazie alla matrice classica della mia formazione, che mi ha donato un’etica del lavoro fortissima.”

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