Al Marconi “Le notti bianche” non sono mai state così piene di stelle

Venerdì 10 e sabato 11 marzo, al teatro Marconi di Roma, si è tenuta la replica dello spettacolo Le notti bianche di Fëdor, vincitore del festival teatrale Teatramm’, tenutosi ad inizio stagione. A interpretare i due giovani protagonisti — sotto la regia di  Luca Giacomini —  Tommaso Lo Cascio, nel ruolo dello scrittore Fëdor, e Alice Tempesta, nei panni di Nasten’ka. 

Il palco è buio, in scena solo tre pannelli, messi l’uno accanto all’altro. Non ci sono balaustre, non c’è un fiume, non siamo dentro il romanzo dello scrittore russo, eppure, al centro della piattaforma torreggia, come un simbolo inconfondibile della sua presenza tangibile, un cumulo di pagine spiegazzate. 

È una notte di primavera e sulla scena apparentemente vuota, la sagoma dei due personaggi si staglia sul pannello centrale acceso d’azzurro. Uno scrittore accecato dai sogni e una ragazza, Nasten’ka, in fuga da un’ombra dalla quale crede di essere inseguita, stanno per incontrarsi, anche se nessuno dei due se lo aspetta. L’incontro è fortuito, puramente casuale, come accadono tutte le cose che ti cambiano la vita. Lui cerca ispirazione, lei un luogo in cui trovare rifugio, ma se, come diceva Carlo Emilio Gadda, non datur casus, non datur saltus, il caso non esiste: la vita, gli eventi che viviamo non sono altro che una questione di destini incrociati, di affinità elettive che portano sempre da qualche parte.Lo scrittore, infatti, Nasten’ka, la aspettava da una vita intera, immerso nella solitudine di chi “non sa chi è”, di chi crede di non avere una storia da raccontare a meno che non sia inventata. Nemmeno Nastien’ka lo sa, ma forse a lei non importa saperlo, tutta concentrata com’è sull’amore che prova per l’affittuario che abita al piano di sopra, nel palazzo nella quale vive con sua nonna; una vecchietta possessiva — o forse solo troppo protettiva — che la tiene legata a sé per il vestito, con una grossa spilla da balia.

Due storie diverse, stessi sogni, accartocciati come le pagine che durante lo spettacolo vengono raccattate da terra e abbracciate, strizzate, lisciate con cura e poi lanciate via. I due passano le quattro notti successive a conoscersi, a raccontarsi speranze e assenze, vuoti e malinconie.  La promessa è quella di non innamorarsi, ma Fëdor non ne può fare a meno. L’amore è impossibile, straziante, inevitabile.

Tommaso Lo Cascio lo rende in maniera magistrale, unendo, nella sua interpretazione, reticenze ed emozioni viscerali come pietà e disperazione, delirante felicità e struggente malinconia. 

Il linguaggio è proprio quello di Dostoevskij: ripetizioni, balbettii, affanni, cambi improvvisi di tono. L’accompagnamento musicale è minimale, quasi inesistente; le vere note sono quelle dei passi contro il legno, del fruscio delle pagine smosse. L’attore va avanti e indietro sul palco, dando voce alla verità più intima dello scrittore russo, quella che non chiede sconti e denuda il cuore dell’umano, affondando nella timidezza cronica di chi non sa ma vorrebbe dare voce ai propri sentimenti. 

Alice Tempesta in compenso, stretta nel suo vestito azzurro, con sua la gioia infantile e a tratti pensosa, non è solo Nasten’ka ma tutte le voci delle donne dostoevskijane, reali e inventate, tormentate e insieme salvifiche. Non le nomina mai direttamente, questo è chiaro, lo spettacolo è su Le notti bianche, eppure, accennando alle diverse storie dello scrittore, si fa portavoce di Sonja Marmeladova come di Anna Grigor’evna Dostoevskaja, di Nastas’ja Filippovna come di Grušen’ka. La sua è un’esegesi delicata e profonda di cosa vuol dire essere personaggio ma sopratutto persona, reale e tangibile, un elemento vivo che, una volta partorito dall’artista, si fa essenza indipendente, si muove nel mondo ed esiste per tutti, come qualsiasi essere umano. 

“Che fine hanno fatto i tuoi sogni?”, chiede Nasten’ka, a sé stessa e a nessuno; dove vanno a finire i sogni sognati troppo a lungo quando diventano reali? Forse da nessuna parte. La riposta non esiste perché reali lo sono da sempre, fin da quando vengono espressi la prima volta, senza alcuna aspettativa, semplicemente chiudendo gli occhi.

Per questo lo spettacolo non ha bisogno di grandi scenografie: sono le domande inespresse che danno corpo alla pièce, fondendosi ai ricordi e alle emozioni controverse di chi almeno una volta ha espresso un desiderio partendo dal niente, affidandosi al sapore di un’immaginazione senza freni. I due attori, orbitando l’uno attorno all’altra come pianeti, con le loro parole e con i loro silenzi mai vuoti, sono tutto quello che serve per mettere le ali alla storia; una storia dentro le storie, che abbracciando il romanzo, selezionandolo e a tratti distaccandosene, lo fa rivivere in una rappresentazione senza tempo. 

Non è oggi, non è ieri, è nello spazio-tempo di tutti i sognatori, di coloro che credono che la realtà è anche quella immaginata, che ti si infila sotto pelle mentre pensi, dormi e sopratutto scrivi

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