Barometro dell’odio di Amnesty International: linguaggio e contenuti problematici durante la campagna elettorale

Il discorso d’odio ha fatto breccia anche in Italia e la campagna elettorale ne è stata la dimostrazione. Durante la propaganda politica, sono stati diffusi messaggi che non promuovono l’integrazione e l’eguaglianza ma, al contrario, sono portatori di discriminazione e odio

Giunto alla sesta edizione, il Barometro dell’odio di Amnesty International Italia ha analizzato circa 30.000 contenuti presenti sulle pagine Facebook e negli account Twitter di 85 personaggi politici candidati alle ultime elezioni nazionali, selezionati tra i candidati ai seggi uninominali e tra i capolista dei seggi plurinominali.

I dati che emergono sono sconcertanti. Il 9% dei post e tweet pubblicati sono offensivi e incitano alla discriminazione di una persona o di un gruppo sulla base di caratteristiche personali o ne chiede la limitazione dei propri diritti. Il 60% dei contenuti totali risulta invece essere positivo o neutro, il 30% negativo non problematico, mentre nell’1% dei casi si tratta di vero e proprio hate speech. Ciò che stupisce di più è che è proprio quest’ultima categoria a generare maggiore popolarità sui social, in termini di like, commenti e condivisioni.Un elemento che non emergeva nella precedente analisi e che, al contrario, non vedeva reazioni da parte degli utenti.

Tra i partiti che fanno maggiore ricorso al linguaggio d’odio troviamo quelli di centrodestra al 9%, seguiti da Azione e Italia Viva (6%), centrosinistra (4%) e Movimento 5 Stelle (3%). Per quanto riguarda, invece, i leader che spesso condividono ciò che Amnesty definisce “contenuti problematici” troviamo al primo e al secondo posto Matteo Salvini (18%) e Giorgia Meloni (16%). A seguire, rispettivamente, Carlo Calenda (9%), Silvio Berlusconi (5%), Nicola Fratoianni (4%), Giuseppe Conte (2%) e, infine, Enirco Letta (1%).

Con una percentuale pari al 53%, il tema più esposto alle dichiarazioni offensive è, ancora una volta, quello del fenomeno migratorio e tutto ciò che ne concerne: la cronaca degli sbarchi, la gestione dell’accoglienza e le condizioni dei rifugiati. Si rimarca costantemente la necessità di “porre fine”, “frenare” , “bloccare i confini”. Le altre tematiche che generano odio sono le minoranze religiose al 36%, il mondo della solidarietà al 35%, la questione Lgbtqia+ con un 31% di attacchi alla teoria gender, all’omogenitorialità e al ddl Zan, e, infine, la giustizia di genere, 26%, in cui la violenza contro le donne è spesso utilizzata in modo strumentale dal centrodestra.

Inoltre, nei post analizzati emerge anche un’altra forma di intolleranza: quella verso le persone in stato di svantaggio socio-economico. Oltretutto si dedica poco spazio all’acquisizione della cittadinanza italiana e del reddito, tematica posta in diretta relazione ai flussi migratori e allo ius scholae, etichettato come non prioritario per gli italiani. Per questa ragione, Amnesty ha rivolto una particolare attenzione ai diritti umani, inclusi il diritto alla salute, al lavoro, alla sicurezza sociale e a un alloggio adeguato. Purtroppo però, meno di un  post o tweet su 4  diesponenti politici è dedicato a essi.

I candidati e le candidate al Parlamento italiano non parlano quasi mai e quando lo fanno è soprattutto per esprimere posizioni di chiusura o negazione. Inoltre, 4 contenuti problematici su 10 sono costituiti da attacchi rivolti da un politico a un altro politico, non semplici critiche ai programmi elettorali altrui ma veri e propri contenuti offensivi o discriminatori.

Infine, dai risultati analizzati, emerge che gli esponenti politici che hanno pubblicato più contenuti offensivi e/o discriminatori sono riconducibili a tre partiti: cinque della Lega (Matteo Salvini, Manfredi Potenti, Claudio Borghi Aquilini, Edoardo Rixi e Severino Nappi, non eletto), due di Fratelli d’Italia (Lucio Malan e Roberto Menia), uno di Azione (Carlo Calenda). 

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