Colombia, intervista ad Angelo Cardona: la goccia che fece traboccare il vaso

A cura di Riccardo Piazza e Rita Rassu

Nella società odierna, per far fronte alla repentinità dei social media, la necessità di fornire notizie nella maniera più tempestiva possibile molte volta porta ad una approssimazione dell’informazione. Un’approssimazione che si traduce in fake news e che può fuorviare il pensiero di una società intera.

Per questo motivo, per fornire un’informazione che sia prima di tutto deontologicamente corretta, è giusto apprendere le notizie direttamente da chi le vive come Angelo Cardona: attivista colombiano, fondatore del movimento nazione “Sí a la JEP”, co-fondatore de l’Alianza Iberomaericana por la Paz (AIPP), vicepresidente dell’organizzazione britannica Humanity United for Universal Demilitarization, membro del movimento Defendamos la Paz, membro del forum di Ginevra e del comitato direttivo internazionale della campagna globale contro la spesa militare (GCOMS) e membro del Consiglio dell’International Peace Bureau, organizzazione internazionale che ha vinto il Premio Nobel per la Pace.

Nel 2020 è stato nominato Ambasciatore Mondiale per la Pace dalla Global Peace Chain. Il tutto a soli 24 anni.

Grazie Angelo per aver accettato il nostro invito. Ci terremmo a premettere che per colpa di notizie fuorvianti è molto complesso comprendere ciò che sta accadendo in Colombia. Molti vogliono far apparire la riforma fiscale come principale responsabile dello sciopero generale e delle successive repressioni ma i problemi in Colombia, così come in molti altri paesi del Sud America, sono prima di tutto legati a temi sociali che non nascono certo adesso.

Non è certo un problema nato sette giorni fa. Credo che in Colombia, v’è una sorta di risentimento che cresce giorno dopo giorno contro questo governo. Non dobbiamo dimenticare che nel 2019 la Colombia fu identificata come la nazione più pericolosa per i sostenitori dei diritti umani per via degli attivisti sistematicamente uccisi. Questo avvenne senza una presa di posizione da parte del governo, che non garantì alcuna sicurezza a chi lottava per le tematiche sociali. Per non parlare dei problemi legati all’istruzione, la quale risente da mancanze di investimenti da parte dello Stato che evidentemente negli anni ha preferito investire in armi e in equipaggiamento militare. Persino negli ultimi tempi mi sono battuto affinché lo Stato smettesse di investire in armi e cominciasse ad acquistare vaccini. L’educazione è un privilegio qui e i giovani finiscono per non riceverne; per questo protestano, per avere un futuro sicuro. Inoltre, viviamo in un Paese che non ci permette di manifestare perché, come hanno riportato le organizzazioni per i diritti umani, 42 persone sono rimaste uccise per via delle proteste. 41 di questi erano civili. Inoltre, la disparità economica tra chi è membro del Congresso e chi è un normale impiegato è tale che sta portando le persone a manifestare anche per questo motivo. Infine, il Governo ha deciso di privatizzare il sistema sanitario, marcando ancora di più le diseguaglianze sociali. Come potete notare, i problemi sono molteplici e strutturali e le nostre richieste pare non vogliano essere ascoltate, motivo per cui credo che le manifestazioni non finiranno molto presto.

Uno dei problemi di cui si dovrebbe discutere maggiormente è che durante queste proteste, come avvenne (e avviene) in altri paesi del Sud America, le autorità tendono ad usare il pugno duro per placare gli scioperi e, in diverse occasioni, quest’ultime hanno commesso violenze sessuali nei confronti delle donne che manifestavano. Secondo l’organizzazione non governativa Temblores, sono stati registrati 12 casi di stupro. Il caso più noto per la risonanza mediatica è stato quello di una donna di Cali, separata dai manifestanti e stuprata da un agente mentre i colleghi guardavano.

Ahimè questo è un tema veramente sconcertante. Credo anche questo collegato alla mancanza di una riforma che riguardi le forze di polizia. Ciò che appare dai video, oltre all’assurdità con cui detengono le persone, è la mancanza totale di una coscienza. Questi agenti non si curano né della dignità né della sicurezza, dimostrando di non percepire l’altro come essere umano. Per non parlare di quando le donne vengono portate nelle stazioni di polizia senza alcun motivo. Chi garantisce loro di non subire violenza? Peggio ancora, se dovessero sporgere denuncia non partirebbe nemmeno l’indagine. Questo è uno dei motivi per cui i colombiani hanno perso fiducia nel sistema. Abbiamo appena inoltrato le testimonianze raccolte alla Corte penale Internazionale perché sentiamo il bisogno di lottare per la loro dignità e il rispetto che meritano.

Pochi giorni fa Juan Carlos Neiva, attivista di Primero Linea (letteralmente la “Prima linea”), ha detto che «il governo vuole tutto da noi anche se non abbiamo niente e usano la violenza per silenziarci». È evidente il tentativo di una censura per evitare che il mondo intero sappia le condizioni di estrema diseguaglianza in cui la Colombia cerca di sopravvivere.

La censura è sicuramente uno dei problemi maggiori. In Cali, per esempio, è stata completamente staccata la connessione ad Internet per evitare spargimenti di notizie delle proteste. Persino le luci gli hanno tolto, cosicché nessuno può accorgersi di ciò che accade con le detenzioni per le strade. Per non parlare dei media: le due trasmissioni primarie hanno fatto sembrare la protesta una celebrazione per il presidente. Le persone non cantavano perché il presidente Duque aveva deciso di non portare avanti la riforma fiscale bensì perché lottavano assieme nelle strade. L’opinione pubblica è facilmente influenzabile e, peggio ancora, l’opinione mondiale che prende le notizie da questi canali risulta fuorviata.

Come vivi da colombiano tutto questo? Non hai paura che le tue parole possano dare fastidio?

Non ho paura. Sono anni che ricevo minacce e solo in un periodo della mia vita, per via della gravità di quest’ultime, sono dovuto andare in Inghilterra per un po’, ma non appena la situazione è tornata quella di prima sono tornato nella mia terra, dove tornerò sempre. Molte volte le minacce funzionano ma non con me. Io sono privilegiato: il mio ruolo internazionale mi mette nella posizione di stare più tranquillo, ma non per questo non cerco di fare la differenza. Cerco di parlare per i giovani, specie per coloro che non vengono ascoltati. Inoltre, per la risonanza internazionale ho la possibilità di raggiungere i tavoli dove si prendono le decisioni.

Cosa ti auguri per il futuro della Colombia?

Prendete i giovani per esempio; normalmente non si interessano di politica e invece sono nelle strade a manifestare per i loro diritti. Credo che qualcosa stia già cambiando ma abbiamo bisogno di avere un nuovo governo che tuteli i nostri diritti in quanto esseri umani.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here