Continuare a ignorare l’Europa: la ricetta (perdente) delle classi dirigenti di Destra

Parlare di sé non è mai elegante in un articolo, eppure a volte si dimostra necessario, e per questo motivo devo iniziare la mia riflessione da una doverosa premessa. Nell’ormai (politicamente) lontano 2016 diversi giovani, tra cui il sottoscritto, enfatizzavano dalle pagine de “l’Occidentale” la mancanza di una visione coerente di Europa da parte dell’allora centrodestra e tentavano, nel loro piccolo, di alimentare un dibattito che aiutasse a definire i contorni di una visione più chiara verso il macro-tema europeo.

Già tre anni fa Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia lanciavano sull’Europa messaggi contraddittori, trincerandosi dietro i facili e ripetitivi slogan che ancora vediamo oggi: euro si o no, Europa delle banche, Europa delle radici, Europa dei popoli. Tante sigle diverse, e tanti slogan diversi, che avevano in comune solo una cosa, ossia l’assoluta vacuità di un pensiero politico coerente. La scelta di questi anni è stata quella di continuare su questa strada, aumentando la confusione e arrivando all’assurdità di spaccare ciò che una volta era un’area politica in continuo dialogo proprio su ciò che non era mai stato realmente affrontato, ovvero i temi europei. Non a caso, da diversi anni, sono passati i tempi in cui il pensiero politico conservatore si divideva tra statalisti e sostenitori del libero mercato, vicini alla morale cattolica e laici, sostenitori o detrattori di nuovi diritti civili. Esponenti delle une e delle altri correnti oggi sono presenti in tutti i tre partiti politici e convivono pacificamente.

Lo scontro reale e attuale, invece, ora è fondamentalmente quello tra chi crede nell’Europa e chi vi si oppone, sbandierando il vessillo dell’euroscetticismo. Questo vuol dire che si è creata, finalmente, una seria distinzione tra chi accetta l’identità europea e chi la rifiuta, tra chi si sente europeo e chi considera lo Stato nazionale come massima espressione di legittimità politica, tra chi vuole disgregare le istituzioni europee esistenti e chi le vuole tenere in vita? Neanche per sogno. L’unica differenza di campo è tra un fronte “europeista”, rappresentato da Forza Italia, che non ha il coraggio di proporre alcuna riforma dell’attuale Unione Europea perché non saprebbe in quale direzione condurla, e un fronte “euroscettico”, guidato da Fratelli d’Italia e Lega, che vagheggia di confederazioni europee à la carte, senza spiegare come queste entità politiche si reggerebbero in piedi e come ci si dovrebbe arrivare.

La confusione è massima ed è sempre stata tale, perché purtroppo l’Unione Europea, con il suo complicato meccanismo di bilanciamento di poteri e di organismi sui generis, non attrae l’attenzione della politica nostrana e men che mai di quelli che si definiscono conservatori o patrioti. Per questo motivo si preferisce ancora oggi parlare per slogan e rompere quella che è stata una tradizione di governo in nome di preconcetti fumosi che si nascondono dietro a parole come Immigrazione ed Euro, ma che non hanno sostanza se non sono pensati strutturalmente in una proposta di riforma delle attuali istituzioni. Purtroppo nessuno si è preso in questi anni la responsabilità politica di fare delle proposte concrete di radicale o anche solo parziale riforma delle istituzioni, un campo nel quale invece tutta la sinistra italiana (si, perfino il PD) è immensamente più avanti. Questa voluta mancanza ci ha portati nel paradosso odierno in cui si parla costantemente di Europa per parlare in realtà di altro e aprirà a breve la strada ad un redde rationem elettorale in cui si scontreranno nell’ambito del centrodestra “due opposte idee di Europa”; quali, purtroppo, esattamente non si sa.

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