Kenneth Eugene Smith e Cesare Beccaria: come l’ipossia da azoto sia illegittima ed anti costituzionale

Negli ultimi giorni la cronaca di tutto il mondo racconta la vicenda del 58enne Kenneth Eugene Smith e della fattispecie giuridica che avvolge questo particolare caso.

La sentenza originaria, i fatti del 1988

Per capire al meglio la questione dobbiamo andare al 1988 quando l’uomo venne condannato alla pena capitale per l’omicidio, nelle campagne alabamensi, di Elizabeth Dorlene Sennett: giovane e religiosa contadina di un piccolo e bucolico sobborgo, avvenuto su commissione del marito stesso della donna che, tramite il pagamento di 1000 dollari, si assicurò come sicari Smith e Jhon Parker (giustiziato nel 2010 per iniezione letale) per ottenere il denaro derivante dalla ricca assicurazione sulla vita della moglie.

La sentenza dalla giuria popolare a seguito del processo fu chiara: 11 voti favorevoli ed uno contrario decisero per l’ergastolo ma decisiva fu l’impugnazione successiva da parte di un giudice che portò ad un riesame del caso e ad una nuova deliberazione: la pena capitale per iniezione letale.

L’evolversi di questa fattispecie oggi non sarebbe più ripercorribile in virtù dell’introduzione di nuove norme in materia penale dell’Alabama, datate 2017, che recano l’impossibilità per i giudici di impugnare sentenze definitive prominenti da giurie popolari e poterle modificare.

L’appuntamento con l’iniezione fu fissato al 2022 e Smith trascorse in carcere più di 30 anni nell’avvicinarsi del giorno fatale.

La prima esecuzione e la nuova decisione

Ripercorrendo questa trama dobbiamo arrivare ai giorni nostri: nel 2022 ad attendere il condannato al patibolo si trovava la commissione di ufficiali medici e giurati che assieme al boia avrebbero somministrato l’iniezione letale.

Durante la procedura di esecuzione però si registrano gravi difficoltà e dopo circa 3 ore di vani tentativi tutti gli ufficiali si videro costretti a dover interrompere la procedura a causa dell’impossibilità di scovare il punto di inserimento dell’ago e delle parallele sofferenze che l’uomo stava provando nel vedersi più volte cercare l’arteria radiale. La cronaca racconta addirittura che nei momenti più concitati la barella fu inclinata a 90 gradi per favorire l’iniezione portando il condannato ad assumere una terribile crocifissione al contrario.

Ad un anno dal miracoloso esito di questa prima esecuzione abbiamo la prima pronuncia del procuratore federale dell’Alabama Steven Marshall,che tramite una raccomandazione alla Corte Suprema Federale si pronuncia richiedendo una data precisa per tale esecuzione ed

indicando che Smith sarà il primo condannato che, in via sperimentale, testerà la pena di morte tramite esalazione di azoto.

Si tratta del primo caso in assoluto: un’esalazione forzata dell’agente chimico che si riverserà direttamente nei polmoni e che, secondo i medici ed i legali, garantisce una morte “rapida ed indolore” ma che dall’altra parte è stata da ormai 10 anni bandita dall’Associazione Veterinaria Usa per la soppressione degli animali definendola inaccettabile a causa del forte dolore fisico e senso di panico che avrebbe procurato alle creature.

Assieme all’Alabama solo Oklahoma e Mississippi hanno aperto a questa procedura ritenendosi favorevoli alla pratica dell’esalazione azotale.

Da qui la notizia rimbalza su tutte le maggiori testate giornalistiche del globo, le quali si interrogano sull’etica, la moralità ed anche la costituzionalità di questa decisione che molto ha fatto riflettere.

“Sono terrorizzato”, “mi hanno ucciso due volte”: queste sono le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Smith dopo che ha preso coscienza dell’amaro destino che lo aspetta.

Una delle più tuonanti opinioni in merito viene rilasciata dall’Equal Justice Initiative, associazione di giuristi ed avvocati progressista che da anni si schiera contro la pena capitale.

“È disumano e terribile giustiziare qualcuno con un metodo di cui non si conoscono le ancora le conseguenze” dice il gruppo di giuristi tramite un comunicato stampa rilasciato nei canali ufficiali.

L’opinione pubblica italiana e Cesare Beccaria

Indipendentemente dagli esiti giuridici del particolare caso, questa cronaca ha le caratteristiche di colpire profondamente il lettore italiano innescando in lui riflessioni profonde sulla liceità della pena capitale e sulle barbarie e le sofferenze inflitte dall’autorità ad un cittadino. Una sensibilità che tiene conto di moltissimi fattori: dallo spirito rieducativo che le carceri dovrebbero avere fino alla funzione deterrente della legge che mai dovrebbe spingersi oltre all’ergastolo.

Questo forte senso critico in merito ad una questione così delicata è dovuta al forte retroterra progressista che il nostro Stato ha, ed in particolare all’incidenza che ebbero le opere ed i pensieri di Cesare Beccaria: filosofo, poeta e scrittore che nel lontano 1774 pubblicò “Dei Diritti e delle Pene”. Opera che tutt’oggi rappresenta un pilastro giuridico ed etico e che già 3 secoli fa pose l’attenzione dei sovrani di un Italia non ancora unificata sull’inutilità della ed immoralità della pena di morte per varie motivazioni: la prima, e la più ovvia, è che rappresenta la sanzione più cruda. Questa riflessione non segue valori di ordine religioso. Per Cesare Beccaria l’efficacia intimidatoria del martirio è la stessa di una pena di lunga durata. Beccaria assume come centrale questo concetto insistendo sul principio della certezza della pena: la sicurezza di un castigo, pur moderato che sia, farà sempre più timore di un probabile castigo anche peggiore. Non è quindi la gravità che incute timore, quanto la sua certezza ed infallibilità.

In secondo luogo Beccaria portò avanti una riflessione di carattere maggiormente politico sottolineando che la libertà per il cittadino consiste nella sicurezza e questa sicurezza non può essere posta in pericolo da nessun’istituzione pubblica o privata che sia.

La giurisprudenza dovrebbe orientarsi su queste matrici di giusnaturalismo illuminato e soffermarsi sulla certezza e sull’infallibilità di sentenze che non vadano mai a ledere l’incolumità dei condannati.

Beccaria rappresentò quella schiera di compositori illuminati che assieme a Locke, Montesquieu e Hobbes condizionarono moltissimo la morale politica e giuridica nel XVIII secolo.

Il 30 novembre del 1786 per decisione dell’allora Granduca Pietro Leopoldo si ebbe la prima abolizione del mondo della pena di morte e della tortura che fu realizzata nel Granducato di Toscana nel clamore di Firenze dove i fiorentini riuniti a Palazzo Vecchio dettero fuoco a tutti gli strumenti di oppressione che disponevano quali forconi, baionette e coltelli.

Questo forte retroterra conoscitivo ed esperienziale porta il pensiero e l’etica italiana in forte contrapposizione rispetto al caso di Smith il quale dovrà affrontare un terribile destino tanto vituperato dalla nostra stessa Costituzione.

Di fronte a queste diverse esperienze giuridiche ed orizzonti etici è necessario tener stretta l’importante e centralissima eredità lasciataci dal pensiero di Cesare Beccaria ed anche giudicare con forte criticità queste scelte auspicando una rapida, costituzionale e democratica revisione delle norme e della matrice penalistica vigente dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here