La legittimità dei Margini: analisi di un film corale

Lo scorso 8 settembre si è svolta a Parco Schuster la serata di presentazione del film Margini, che ha visto la partecipazione del cast, del regista e della produzione, nonchè un concerto di varie band punk/hardcore a seguito del dibattito. 

Per quanto il genere possa sembrare apprezzabile solo da un pubblico specifico, non era necessario essere amanti del punk per riconoscere il successo dell’iniziativa: la conversazione sul palco, moderata sapientemente e ben equilibrata, anche grazie all’armonia tra i diversi punti di vista professionali, è riuscita nell’intento di tenere alta l’attenzione e coinvolgere una platea romana che di Grosseto, probabilmente, conosce ben poco.

Difatti, la pellicola di Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti, prodotta dalla casa di produzione Dispartee, tra gli altri, dai Manetti bros, è ambientata proprio nel capoluogo maremmano, qui rappresentativo di una realtà provinciale sicuramente nota a tanti giovani italiani. 

E se ancora può stranire il fatto che un film su Grosseto e la musica punk possa essere selezionato al festival di Venezia, o addirittura vincere il premio del pubblico, basterà tenere presente una questione fondamentale: Margini è un film corale. 

In questo caso, tuttavia, occorre svincolarsi dall’accezione comune del termine; non si tratta, infatti, di un film senza protagonisti, i cui personaggi hanno tutti la stessa importanza. Il concetto di coralità deve essere indagato con un approccio più filosofico, potendo in questo modo percepire quanto le dinamiche apparentemente specifiche di questa storia siano in realtà applicabili alla maggior parte delle situazioni provinciali del nostro paese; e quanto il punk, suonato e amato dai protagonisti al punto di arrivare a commettere gesti estremi, stia a rappresentanza di un concetto molto più esteso di passione giovanile. Un ideale per cui combattere, insomma.

I tre ragazzi, infatti, si ritrovano a invitare una famosa band punk/hardcore americana a Grosseto, come tappa del tour internazionale, dopo l’annullamento della serata prevista a Bologna. 

Le azioni sono spontanee, improvvisate, dettate da un entusiasmo quasi infantile, che porta i tre membri ad agire impulsivamente in vista di un piccolo spiraglio di luce e speranza (in questo caso, appunto, il concerto della loro band preferita nella propria città, solitamente teatro di tristi feste per anziani e sale da ballo anni ’80, ormai deserte e spopolate).

Se la prima parte risulta leggera ed estremamente comica, tanto da non suscitare senza un vero e proprio attaccamento emotivo ai personaggi che vada oltre la simpatia, la seconda cambia linea, pur restando estremamente fedele e coerente. 

L’empatia cresce in contemporanea al peggioramento della situazione, non tanto perché i tre ragazzi siano eroi, modelli impeccabili da seguire e sostenere (anzi, con l’aggravarsi delle cose compiono anche gesti irrispettosi), quanto perché sono esattamente gli esseri umani che, in fondo, tutti noi ci sentiamo di essere. 

Non c’è furto, discussione o atto vandalico che tenga contro il legame sentimentale che lo spettatore crea con le vicende vissute da Michele, Edoardo e Iacopo, tanto che ad un certo punto può capitare di sentire un macigno sullo stomaco (proprio lì, sulla poltrona della sala cinematografica), mentre si spera con tutto il cuore che la situazione per loro si risolva senza troppe sofferenze.

Al centro dei problemi stanno le questioni economiche e familiari in crisi, fulcro di una sofferenza evidente ma non sbandierata, intrinseca nel quotidiano. 

Che sia il fatto di non avere le possibilità finanziarie per organizzare quella che sta diventando una cosa più grande di loro, o la difficile convivenza con un patrigno avido, duro e testardo (che tuttavia, a tratti, fa emergere il suo personale dolore), i protagonisti non enfatizzano la loro sofferenza, riconoscendo i problemi con consapevolezza, senza martirizzarsi o scadere in patetici vittimismi. Al contrario, se ne fanno carico, e li affrontano, in fin dei conti, con responsabilità e onestà.

Ciò che arriva al pubblico, dunque, è, alla fine, una grande umanità, che trascende dal genere musicale o dalla città rappresentata. Città che, purtroppo, sembra pericolosamente familiare a chiunque sia cresciuto in una realtà di provincia, posti nei quali vengono spesso privilegiate spesso ridicole e costose iniziative, a discapito di contro eventi e proposte che partono dai giovani, da sempre più attenti alla novità e motivati da una spinta al cambiamento ben più grande di quella degli anziani. 

Da notare, a tal proposito, le scene del film in cui la rievocazione storica dell’assedio grossetano di Ludovico il Bavaro fa capolino, quasi defilata ma ben percepibile, suscitando nello spettatore una commistione emozionale tra ridicolaggine e squallore (evento, per altro, veramente realizzato qualche anno fa, proprio nel centro storico della città).

Una lotta contro la piattezza e la noia, quindi, che porta da anni i ragazzi a scontrarsi con amministrazioni disinteressate e poco attente al futuro (o addirittura al presente).; Ddi questa battaglia emerge la frustrazione, il ben noto senso di impotenza che può portare anche i migliori a commettere azioni folli, come accade nel film.

E come premio per questo estremo realismo, un lieto fine vero e proprio non esiste, sostituito però da un meraviglioso e commovente finale. I personaggi continuano la propria vita, come tutti noi, e l’identificazione con loro è massima e felicemente riuscita.

Che il progetto fosse valido fin da subito lo dimostrano anche le personalità coinvolte, da Zerocalcare, autore di varie tavole per il film, il quale fa un piccolo cameo a sorpresa, al cantautore Giancane e ad Alessandro Pieravanti, membro del noto gruppo romano Il Muro del canto, nonché e curatore della parte musicale. Nella colonna sonora, esclusivamente diegetica, sono presenti vari gruppi della scena punk/hardcore degli anni 2000, con le stesse canzoni, come ha detto Falsetti alla presentazione, con cui loro sono cresciuti, e che rivestono quindi un ruolo significativamente emotivo. Altro tratto, questo, caratteristico di un’opera fatta con e per amore. 

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