Reggio Emilia, 7 luglio 1960. Quattro operai (Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Afro Tondelli) e un pastore (Marino Serri) muoiono sotto i colpi sparati della polizia.
La loro “colpa” è quella di manifestare contro il governo Tambroni; un governo a trazione DC che gode dell’appoggio esterno del Movimento Sociale Italiano (MSI), erede politico della Repubblica di Salò (RSI).
Per chi, come Serri, Reverberi e Tondelli, i fascisti li ha combattuti da partigiano, si tratta di uno schiaffo morale difficile da accettare passivamente.
Così, quando la CGIL di Reggio Emilia proclama lo sciopero cittadino il 7 luglio, i tre decidono di scendere in strada per protestare pacificamente. Nella folla, insieme a loro, ci sono anche Lauro Farioli e Ovidio Franchi, giovani operai di 22 e 19 anni, che non hanno imbracciato i fucili contro la RSI ma che condividono con i più anziani colleghi la militanza nel PCI e le difficoltà della vita operaia.
Il contesto
La strage di Reggio Emilia va inserita in un contesto sociopolitico particolarmente avvelenato. La nascita del governo DC appoggiato dal MSI è ulteriormente intossicata dalla scelta del partito di estrema destra di organizzare il sesto congresso a Genova, città medaglia d’oro della resistenza.
Una provocazione a cui Genova risponde con manifestazioni che si estendono a macchia d’olio su tutta la penisola. A Licata, il 4 luglio 1960, la polizia uccide Vincenzo Napoli: è solo il triste preambolo di quanto accadrà a Reggio Emilia.
I fatti
Il 6 luglio 1960 la prefettura concede alla CGIL un comizio in Sala Verdi (600 posti) ma proibisce gli assembramenti al suo esterno. Il giorno dopo però i manifestanti sono 20.000: una marea proletaria che non entra nella sala e che si riversa nelle strade e nelle piazze della città.
Durante la giornata un gruppo di lavoratori delle Officine Meccaniche Reggiane si raccoglie davanti al monumento ai caduti. Si intonano canti di lotta ma non ci sono violenze, non ci sono provocazioni. La protesta è e rimane pacifica.
Alle 16.45 la calma apparente viene spezzata da un reparto di 350 poliziotti (aiutati dai Carabinieri) che carica gli operai inermi. La celere spara ad altezza uomo. È in questo confuso momento che perdono la vita i 5 lavoratori comunisti.
Nessun colpevole
Nei giorni che precedettero la strage di Reggio Emilia, l’invito ad “aprire il fuoco in situazioni di emergenza” fatto del Presidente del Consiglio Fernando Tambroni fu un’apertura all’uso indiscriminato della violenza da parte delle forze dell’ordine.
La sua responsabilità politica e umana è incontestabile e pesa come un macigno sul suo governo (si dimetterà a breve, il 14 luglio 1960) e su una parte della DC.
Per quanto riguarda la responsabilità penale, il vicequestore Giulio Cafari Panico (accusato di omicidio colposo plurimo) e l’agente Orlando Celani (accusato di omicidio volontario per l’uccisione di Afro Tondelli) furono entrambi assolti con formula piena tra il 1964 e il 1966.
Ad oggi, quindi, non c’è ancora giustizia e pace per i 5 lavoratori massacrati a Reggio.
Gli operai ed ex partigiani Serri, Reverberi e Tondelli, dopo aver ricacciato nell’angolo più buio della storia la violenza reazionaria della RSI, sono morti schiacciati da un potere che avrebbe dovuto tutelarli e che invece stringeva accordi politici proprio con gli eredi del pensiero fascista. Lauro Farioli e Ovidio Franchi sono morti giovanissimi lasciando sulle strade insanguinate di Reggio i loro sogni di ragazzi.
Non hanno avuto giustizia. Meritano almeno il nostro ricordo.
“Compagno Ovidio Franchi, compagno Afro Tondelli
E voi Marino Serri, Reverberi e Farioli
Dovremo tutti quanti aver d’ora in avanti
Voialtri al nostro fianco per non sentirci soli”
Dalla canzone “I morti di Reggio Emilia” di Fausto Amodei