Mia Khalifa: il diritto di riappropriarsi della propria vita

«Questi undici video mi perseguiteranno fino alla morte e non voglio che un’altra ragazza vada incontro a quello che ho passato io, perché nessuno dovrebbe».

Sono circa un milione e mezzo le firme sulla petizione lanciata da Kia Flowers, sulla piattaforma Change.org, con lo scopo di avere giustizia per Mia Khalifa.

La ventisettenne nata in Libano, naturalizzata statunitense, ha raggiunto la massima fama nell’ottobre del 2014, quando diventa un’attrice pornografica. In poco tempo, scala tutte le classifiche di Pornhub grazie alle produzioni targate Bang Bros; un mondo che ben presto si rivelerà a doppio taglio, visto e considerato che riceverà minacce di morte dopo essere apparsa in filmati pornografici indossando un hijab e mostrando tatuaggi di stampo conservatore libanese. Cosi nel 2016, per «gravi minacce da parte di esponenti dell’ISIS», Mia si ritira dalle scene cercando di riappropriarsi della sua vita con non poche difficoltà. Difatti, con la sua popolarità, era solo questione di tempo prima che su Instagram, sul suo profilo da oltre venti milioni di follower, non arrivassero altrettanti milioni di haters, pronti a schernire lei e il suo compagno Robert Sandberg, chef di fama mondiale.

Pochi giorni fa, Kia Flowers ha deciso di lanciare una petizione a seguito dei numerosi post da parte di Mia verso quelle persone che di lei si ricordano solo i «tre mesi più bassi, più tossici e più insoliti della tua vita quando avevi 21 anni» e verso un’industria che nonostante le molteplici richieste da parte del suo staff di rimuovere i contenuti, non ha fatto altro che continuarli a promuovere, come se Mia non si fosse mai ritirata. Inoltre, a chi negli scorsi giorni ha accusato la ventisettenne di aver ricevuto milioni di dollari per quei video, la stessa ha risposto in un video dichiarando di aver percepito 12.000 dollari a fronte dei milioni di dollari incassati dalle industrie che l’hanno sfruttata non appena ventunenne. Sfruttata e abusata, come di recente ha confessato sui suoi canali social:

«Jordan Sibbs, direttore di Bang Bros, mi disse che un fotografo di Vogue, avrebbe potuto riabilitare la mia figura con degli scatti professionali», qualcosa però non tornava perché «fui portata sul tetto da sola, con lui. Mi consegnò un hijab e dopo averlo indossato cominciò a fotografarmi. Dopodiché, mi chiese di spogliarmi completamente e di posare attaccata al muro. La parte peggiore fu quando avvicinò le sue mani al mio corpo, contorcendolo o toccandolo a suo piacimento, per i fini delle foto» che furono pubblicate senza che Mia lo sapesse e senza alcuna forma di retribuzione.

«Non mi hanno mai vista come un essere umano con un’anima e un futuro, sono stata merce nelle mani di questi uomini che non erano affatto preoccupati della mia salute, non avevo alcun controllo».

L’industria del porno non è esente dal trattare le proprie attrici e attori in modo umano e rispettoso, specie quando quest’ultimi hanno il desiderio di ricominciare la loro vita, senza che i contenuti delle loro professioni passate diventino il marchio del loro presente e del loro futuro.

Al link che segue, la petizione per chiedere giustizia nei confronti di Mia Khalifa:

https://www.change.org/p/pornhub-justice-for-mia-khalifa

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