“No Sleep Till Shengal”: le testimonianze di Zerocalcare

Grande successo per la prima presentazione romana di No sleep till Shengal, ultima opera di Michele Rech (meglio noto, se non notissimo, come Zerocalcare).

L’incontro, avvenuto al punto Feltrinelli sull’Appia Nuova, è andato sold out sin dai primi minuti del 22 settembre, giorno di apertura delle prenotazioni, come del resto è avvenuto per le altre tappe del tour di Michele, sempre affiancato dal suo fedele editore, Bao publishing, che ha pubblicato ognuna delle sue opere.  

Dopo l’enorme successo della serie Netflix, Strappare lungo i bordi, la popolarità di Michele è sicuramente cresciuta, sebbene avesse iniziato ad essere apprezzato dal grande pubblico fin dai tempi della quarantena, periodo di grande attività dell’autore: i video della serie amatoriale Rebibbia quarantine, interamente realizzata da lui, hanno sconfinato l’iniziale campo dei social arrivando al celebre programma Propaganda Live; divenute virali, in seguito, sono riapprodate sulle piattaforme network più utilizzate dagli italiani. 

Insomma, un circolo virtuoso tra televisione e social che, nonostante le ristrettezze del periodo, ha assicurato a Michele una maggiore visibilità rispetto al passato. Tanto che l’Espresso, in uno degli ultimi numeri sotto la direzione di Damilano, lo ha definito “l’ultimo intellettuale”. 

Che ciò abbia lasciato perplesso il fumettista, poi, è un altro discorso: chiunque lo abbia visto nelle sue apparizioni avrà notato l’umiltà di Michele, il suo bisogno di rimanere sempre con i piedi per terra, la costante lucidità che gli permette di non montarsi mai la testa, fatto del quale è ben consapevole e felice (sebbene il suo caso sia diventato un vero e proprio fenomeno, coinvolgendo orde di fan da tutta Italia e non solo). 

L’attivismo di Zerocalcare è ben noto, ed è parte intrinseca della sua vita da molto tempo; la frequentazione adolescenziale dei centri sociali, la partecipazione alle proteste del G8 di Genova e il reportage da Kobane per documentare la resistenza curda sono solo alcuni dei tanti impegni presi dall’autore in nome della difesa dei diritti civili e della libertà.

Kobane calling, tra l’altro, per quanto riguarda la conoscenza del tema del Rojava, ha avuto un enorme impatto tra gli italiani, diffondendone la storia a più livelli. Una storia che, altrimenti, sarebbe rimasta lontana dai più.

Ed è sempre sotto invito della comunità curda che Michele ha affrontato il viaggio in Iraq nel 2021, raccontato nella graphic novel uscita il 5 ottobre, per far luce sulla complessa situazione degli Ezidi, un popolo poco conosciuto ma bisognoso di attenzioni internazionali.

Il genocidio del 2014, perpetrato dallo Stato islamico dell’Iraq a danno degli Ezidi, è solo l’ultimo di una lunga serie, inscritto nella storia di un popolo non appartenente alle religioni principali del Medio Oriente (e per questo torturato nei secoli).

“Gli adoratori del diavolo” è una delle tante definizioni utilizzate contro di loro dagli stati confinanti,  eppure gli Ezidi sono in realtà i seguaci di una religione pacifica, dai forti tratti mistici e insieme popolari, che non ha mai cercato di fare proseliti (come riportato dal sito Gariwo).

A causa della loro fede preislamica, il governo iracheno li considera “non meritevoli di vivere” e ha più volte tentato di convertirli all’Islam in passato, con conseguenze terribili: gli uomini che si rifiutavano venivano uccisi davanti alle proprie famiglie, le donne violentate e vendute come schiave sessuali.

Inoltre, l’appoggio alla comunità garantito dal PKK e dalle unità di resistenza curde YPG e YPJ ha portato la Turchia e al-Baghdadi a considerare anche gli Ezidi come terroristi: per quanto sembri paradossale, questi governi utilizzano il sostegno delle  cellule dormienti dell’Isis, che hanno sede in quei territori, per perseguitare questo popolo sfortunato. Dunque Isis, Daesh, nomi associati a grandi spargimenti di sangue; eppure, per gli stati di Erdogan e Salih i terroristi risultano gli Ezidi. 

Oltre alle differenze religiose bisogna anche ricordare quanto agli stati confinanti non vada giù il progetto ezida di adesione al confederalismo democratico, lo stesso adottato dal Rojava ben descritto da Zerocalcare in Kobane calling.

La storia delle faide in Medio Oriente è ben più complessa di così, oltre che delicata. Michele in primis ammette, alla Feltrinelli, di non essere un esperto di geopolitica e di non avere in mano soluzioni precise per la risoluzione del conflitto.

Quel che può fare è testimoniare, motivo per il quale è stato inviato a Shengal su richiesta della comunità curda di Roma. Non la guerra, quindi, ma il resoconto, la diffusione della consapevolezza in Occidente. Oltre a lui, infatti, sono state inviate nel Kurdistan iracheno altre delegazioni internazionali, composte da personaggi di spettacolo, giornalisti e artisti, con l’obbiettivo di raccontare ciò che succede e avvicinare questo mondo così distante anche a noi .

E bisogna ammettere che Zerocalcare ci è riuscito perché, nel silenzio del pubblico, persino in una libreria sull’Appia, lontana chilometri da Shengal, si percepiva una certa elettricità diffusa; una vicinanza con questo popolo certamente non fisica, ma mentale. E forse, proprio per questo, più potente.

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