Verba manent: da Belve una riflessione sullo spettacolo televisivo

La “belvata” di Francesca Fagnani, che fa il pieno di share e supera il record di ascolti del suo programma: 12,55% e 2 milioni e duecentomila telespettatori incollati alla tv ad assistere alle interviste. Prima la premessa, che è doverosa: Fagnani è anzitutto una giornalista impegnata nella lotta alla criminalità organizzata, principalmente romana, e vicina al mondo delle carceri, delle quali spesso ha raccontato le criticità. Quindi chapeau a chi fa inchiesta, là dove c’è più bisogno di informazione e di sensibilizzazione. Del “fenomeno Fagnani”, esploso in tv, e meno sul campo, come purtroppo talvolta accade, occorre però ragionare a tutto tondo. Senza esclusione di colpi. 

Il format è vincente, ma anche piuttosto banale. Tre ospiti, tre intermezzi tra un invitato e l’altro, tante domande. Un distacco perenne dell’intervistatrice, che si ostina, anche fastidiosamente, a dare del “lei” perfino agli ospiti che conosce di più, i quali le si rivolgono confidenzialmente. Rimane fredda, dunque, e a tratti anche un po’ saccente; brava a stemperare momenti più critici con un sorriso smagliante e qualche intercalare dialettale, che fa da scudo a eventuali critiche di snobismo. Tornando all’incipit: il format è banale, perché non c’è altro che possa giustificare un così grande clamore, se non il tenore degli ospiti (sempre di primissimo standing grazie alla RAI) o l’hype intorno a ciascuna puntata. Fagnani studia vita e marachelle degli invitati, ma non è una seduta di psicanalisi tenuta da Freud in persona; è una rapida sequenza di domande – si vocifera mai anticipate agli invitati – che provano a far emergere un mix di sensazionalismo e narrazione. 

Tuttavia, è la puntata di martedì che interessa la nostra considerazione. Che muove dal giudizio sulla conduttrice, che al di là dell’aspetto “spettacolare” della trasmissione rimane una professionista di livello, e arriva agli interessi dell’italiano medio spettatore. 2.200.000 circa persone davanti allo schermo per ascoltare uno dei due protagonisti dell’italian-gate del 2024: Fedez. Il quale ha dato la sua versione, ha pianto, ha lanciato un paio di frecciatine, ha parlato secondo il suo costume verbale e ha ricordato a tratti quello che ha fatto. Cos’altro c’era da aspettarsi, che svelasse i misteri del caso Balocco? Siamo seri: all’italiano piace la spettacolarizzazione della vita altrui. È colui il quale cita Orwell quando ritiene che la sorveglianza di massa sia eccessiva e che lo Stato sia invadente, mentre guarda ogni forma di reality esistente nel palinsesto nazionale – anzi, si dispiace perfino delle nuove scelte aziendali di Mediaset, volte a limitare un po’ il “trash”. Così spopolano le videocamere h24 nelle stanze, con vip pagati per mettersi in mostra tra finzione e realtà, le emittenti fanno share e il popolo è contento. È per lo stesso motivo che una puntata con Fedez e Francesca Cipriani ha avuto così successo (c’era anche Borghi, unico esempio di carriera raccontata martedì). 

Sarebbe insensato e presuntuoso un invito agli italiani: guardate più cultura, vedete meno spettacolo. Non è così che funziona, e spesso moniti del genere suscitano un effetto opposto. Sarebbe bene, però, ricordare che l’offerta è varia, e dietro a un programma vivono maestranze e famiglie. Dunque ogni programma, al netto delle preferenze, meriterebbe ascolto. Soprattutto quelli etichettati come noiosi, se non altro per un omaggio a Leopardi, che definiva la noia come “il desiderio puro della felicità”. 

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