Il Senato senza una commissione: Petrocelli e i problemi della politica

Ieri è arrivato il parere positivo della Giunta del regolamento di Palazzo Madama sullo scioglimento della commissione esteri al Senato, dopo il caso Petrocelli. La vicenda è iniziata con un tweet indecoroso di Vito Petrocelli, espulso di recente dal M5S, che inneggiava all’operazione russa in Ucraina evidenziando la lettera “Z”, simbolo dell’aggressione. Per due settimane, al Senato si è svolto uno spettacolo vergognoso, che ha bloccato i lavori di una tra le commissioni più importanti, svuotata dei suoi componenti che, con le dimissioni, hanno provato a lanciare un segnale.

La faccenda pone in risalto due principali problemi che affliggono la nostra classe politica: l’inadeguatezza di alcuni membri delle istituzioni e la mancanza di visione a medio-lungo termine nel compiere una scelta. 

L’evoluzione del populismo, inteso come una scorciatoia per raggiungere traguardi importanti (come un’elezione parlamentare) con poco sforzo, solleticando i malesseri dell’elettorato, ha dimostrato che chiunque può riuscire a rappresentare gli elettori, senza criteri di merito, competenza, esperienza. Il nichilismo della politica, che ha annullato quasi tutto del buono costruito in passato da una classe per certi versi discutibile, in verità non dissimile da quella odierna sotto quegli aspetti, ha soddisfatto gli appetiti più reconditi dell’elettore medio. Da lì l’exploit del Movimento 5 Stelle, il partito grazie a cui Petrocelli è entrato a Palazzo Madama. Ed egli è pienamente emblematico dell’inadeguatezza, perché nel 2014 fu il primo caso nella storia della Repubblica italiana di capogruppo espulso dall’aula parlamentare ed è tanto filo-cinese, da dimostrarsi scettico circa il genocidio degli uiguri, quanto filorusso, da essere soprannominato, tra i suoi, “Petrov”. 

D’altra parte, lo scandalo parlamentare ha riguardato anche lo svolgimento dei lavori in commissione. Le parole di Petrocelli hanno suscitato scalpore, ma è stata tarda la decisione della Giunta. La scelta di dimettersi, da parte di tutti i membri, fuorché Dessì (Partito Comunista), è stato un segnale lanciato verso i vertici di Palazzo Madama, ma che ha bloccato per più di due settimane i lavori. Possiamo davvero permetterci di scioperare in nome della buona etica, mentre alle porte dell’Europa c’è una guerra, si decide se mandare armi, si valutano gli aiuti? Sarà il caso di modificare il regolamento della commissione, prevedendo anche la possibilità di sfiduciarne il presidente, senza ricorrere allo sciopero? O magari tale ritocco andava fatto prima, visto che tutti ben conoscono la caratura politica di certi eletti?

Ora la commissione verrà svuotata, ciascun partito designerà un altro componente che subentrerà, ignaro, ai lavori precedentemente iniziati. Sarà l’ennesimo impasse. E si perderà altro tempo, mentre fuori la guerra non attende che l’Italia risolva le proprie sciocche questioni. D’altronde, se una volta l’affare Sigonella è stato un esempio brillante di gestione critica in politica estera, oggi i tempi sono cambiati. E con essi sono cambiati anche gli attori che operano nei tempi. 

Hanno voluto distruggere quella classe politica, speriamo almeno avessero l’auspicio di rifarne una migliore. Le guerre continueranno a esserci, più o meno sempre le stesse e negli stessi modi; è stato un errore credere il contrario. Cambierà, però, chi dovrà gestirle. Auguriamoci che gli italiani si rendano conto che il nichilismo ha fatto male alla nostra politica. 

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